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mercoledì 8 luglio 2009

STORIA DEL FOLLE

Avendo letto il libro di Michel Faucault: “L’ordine del Discorso” sono stato colpito dalle sue riflessioni riguardanti la figura del folle. In base a ciò intendo ripercorrere la storia di questo personaggio.

FOLLIA: viene identificata come una mancanza di adattamento che il malato mostra nei riguardi dell’ambiente, fermo restando che tale definizione è influenzata dal momento storico, dalla cultura, dalle convenzioni, quindi possiamo considerare folle qualcosa o qualcuno che prima era normale, e viceversa.


Nel corso dei millenni è innumerevolmente variato sia il concetto di folle sia la sua interpretazione. Nell’età classica, il folle rappresentava la voce del divino, e quindi un qualcosa da ascoltare per interpretarlo. Contrariamente nel Medioevo, il folle era diventato il rappresentante del Demonio, bisognava liberarlo dal male e quindi esorcizzarlo. In seguito venne diffusa la dicotomia spirito-corpo, la quale nel caso di malattia mentale impose come primo atto l’intervento riparato rio sul corpo guasto, e proprio per questo motivo incapace di far esprimere lo spirito, e, nel caso di insuccesso dell’operazione, si procedeva con l’eliminazione fisica del folle. Questa figura venne vista nel modo opposto nel Rinascimento, pensiamo soltanto all’ “Elogio della Follia” di Erasmo da Rotterdam; in questa epoca, vediamo il folle considerato come una persona diversa, sia per i valori sia per la sua filosofia di vita, proprio per questo andava comunque rispettato e lasciato in libertà. Se nell’epoca medievale i folli rischiavano la morte sul rogo, ancora alla metà del ‘700 erano detenuti nelle carceri, poiché mancavano le apposite strutture sanitarie.Esattamente in questo periodo, in Francia, Germania e Inghilterra venne a mettersi in moto un processo lento il quale consentirà, entro una cinquantina di anni, grazie alla promulgazione della legge a riguardo, di consegnare i folli ai propri familiari, o in mancanza dei suddetti, inserirli negli ospedali oppure nei primi istituti specializzati dell’epoca. Per quanto concerne l’approccio terapeutico nei confronti del malato, solamente entro la fine del XVII secolo notiamo la rivoluzione della mentalità medica corrente cercando di imporre il concetto di inviolabilità delle persona umana e di libertà. Tuttavia il malato restava dentro le mura del manicomio, con la differenza che stavolta egli distingueva la solita terapia medica repressiva carceraria. Tra le innovazioni, vennero abolite le catene per sostituirle con dei corpetti di tela: le cosiddette “camicie di forza”. Venne inoltre introdotto un diario del malato il quale aggiornava quotidianamente le sue condizioni di salute, ma soprattutto fu regolamentato l’ingresso e l’eventuale fuori uscita del malato in caso di guarigione avvenuta. In Inghilterra, oltre all’introduzione della semilibertà vigilata, emersero due aspetti caratteristici: l’uso dei principi religiosi come metodo di cura e il lavoro come valore terapeutico. In Francia invece, venne ad imporsi una visione laica della gestione del folle, grazie anche all’opera di Pinel. Le ideologie democratiche dell’epoca si riversarono sul controllo e sui metodi da usare nei confronti del malato. Ed è qui che la conoscenza delle malattie mentali acquistò una credibilità scientifica. Arrivando a tempi più recenti, dall’800 in poi, emerse la visione del folle come “macchina rotta”, ovverosia lesionata dal cervello. Eccoci finalmente in pieno ‘900, ove grazie a Sigmund Schlomo Freud, che con l’intuizione della guarigione perseguibile tramite una ricerca interiore ed un rapporto più stretto con il terapeuta, si mutò NUOVAMENTE la storia del folle e quindi del significato stesso della follia.

“Capita che la parola del folle sia considerata nulla e senza effetto, non avendo né verità né importanza, non potendo far fede in giustizia, non potendo autenticare un atto o un contratto, non potendo nemmeno, nel sacrificio della messa, permettere la transustanziazione e fare del pane un corpo; capita anche, in compenso, che al folle venga attribuito, al posto della parola, strani poteri, quello di dire una verità nascosta, quello di annunciare l’avvenire, quello di vedere del tutto ingenuamente quel che la saggezza degli altri non può scorgere” – Michel Faucault.

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