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venerdì 17 luglio 2009

Controllo “sulle vite”: Il reciproco legame tra desiderio, verità e potere, il potere esercitato dagli uomini sugli uomini.

Verità e potere sono il binomio fondamentale dei più influenti movimenti politici che hanno scolpito la storia dell’umanità da quando l’uomo può averne testimonianza, attraverso il fissaggio della lingua in scrittura, attraverso il fissaggio del discorso. La produzione di quest’ultimo è così insita nella sua natura, da impossibilitare l’immaginazione di alcunché al di fuori della stessa realtà che influenza.
Michel Foucault nel suo testo L’ordine del discorso, ci invita a riflettere ponendoci al centro della questione dei rapporti tra discorso, verità e potere. Citando direttamente lo stesso Foucault, pongo questa domanda come partenza della mia riflessione:

"Ma che c’è dunque di tanto pericoloso nel fatto che la gente parla e che i suoi discorsi proliferano indefinitamente? Dov’è dunque il pericolo? "

Foucault suppone che, in ogni società, la produzione del discorso è sottoposta a controllo, selezione ed è in qualche modo filtrata da procedure che bloccano i suoi poteri e quindi i pericoli che ne conseguono. Tra le procedure, dette d’esclusione, Foucault elenca le seguenti: quella dell’interdetto, ovvero non si può parlare di tutto in qualsiasi circostanza; una partizione e un rigetto, tradotti nell’opposizione tra ragione e follia; l'opposizione tra vero e falso: partizione storica che riguarda la nostra volontà di sapere, di verità.

Sono le istituzioni stesse ad avere creato e imposto queste procedure, affinché fosse possibile controllare la particolare capacità del discorso di essere strumento attraverso cui si lotta, per impadronirsi di quel potere che si cerca di tenere a bada; ma quelle che sono considerate appunto istituzioni non sono formate da uomini, anch’essi influenzati dalla temibile materialità che è attribuita al discorso?
Durante il corso del Novecento, il mondo cadde sotto la stretta di poteri politici che seppero conquistare il proprio terreno oltre che con la paura, con la potenza comunicatrice dei loro messaggi, i quali coinvolsero l’opinione pubblica dell’epoca. Dai regimi totalitari e dittatoriali che, nella prima metà del secolo, per la loro bramosia di potere portarono il mondo a scontrarsi in due grandi guerre, che ebbero come risultato nient’altro che stragi di portata fino allora inimmaginabili, all’equilibrio del terrore dell’età atomica, la propaganda politica fu il pilastro fondamentale per la diffusione delle ideologie e per la ricerca dei consensi nella popolazione. Fu proprio attraverso il monopolio dei mezzi di comunicazione, quali la stampa, la radio e il cinema, che questi grandi movimenti politici diffusero i loro credi e proferirono i loro discorsi.
La forza dei loro messaggi, unita al clima di terrore quasi velato di silenzio, contribuì enormemente ad accrescere la figura dei loro leader, e con la loro ascesa al potere il controllo completo fu nelle loro mani: controllo totale sulla vita di ogni singolo uomo, sulla loro ideologia politica, il loro credo religioso, i loro corpi, la loro morte. Un potere, che diventando istituzione, stabilì il proprio controllo anche sulla produzione del discorso.
Le procedure d’esclusione analizzate da Foucault s’inseriscono perfettamente in questo quadro storico: esse poggiano su di un supporto istituzionale che influisce radicalmente sulla loro forza sfruttandole a suo vantaggio. L’influenza che i regimi totalitari ebbero sulla volontà di sapere è certamente un esempio di costrizione voluta e ben evidenziata, il cui modello si può ritrovare nella descrizione di Foucault circa la verità e l’importanza che il discorso assumeva, già nei poeti greci del VI secolo, quando ad enunciarlo era l'individuo avente diritto secondo il rituale richiesto. I propagandisti nazionalsocialisti fecero ampio e largo uso degli strumenti scientifici e tecnologici più moderni del tempo, non solo la radio e il cinema, bensì anche la psicologia: di qui l’attenzione ai simboli, ai rituali, alle feste. Hitler, personalmente affascinato dal senso di serenità, saggezza e potenza che i riti cattolici promanavano, impostò una parte della propaganda nazista nella realizzazione di “feste” notturne impregnate di una ritualità ricercata, come nel “rogo delle opere pubbliche” del 10 maggio 1933, organizzato in tutte le grandi città tedesche sedi di università: una dimostrazione della condanna collettiva di tutto un popolo nei confronti di espressioni di pensiero ritenute aberranti. La ritualità di tale occasione consisteva nel fare l’appello di autori condannati gettando successivamente le loro opere nel fuoco e accompagnando il gesto con formule di esecrazione ispirate a modelli liturgici. Oltre alle feste notturne, vi erano altre occasioni di “pubblica liturgia”, nel corso delle quali, oltre che sacrale, il tono era militare: l’idea dell’unità del popolo, che era il nucleo di queste feste liturgico-politiche, comportava quella del sacrificio dell’individuo per la collettività, e il discorso finale del Führer, momento culminante della cerimonia, appariva come il colloquio fra il Salvatore e il suo popolo.
Il nazismo, e tutti gli altri movimenti che esercitarono un potere coercitivo, crudele e radicale, decidendo della vita altrui in tutte le complessità che la compongono, non solo diedero vita alla forma di restrizione, applicata alla produzione del discorso, più visibile, ma diventarono quella sorta di potere che si cercava di contenere con le limitazioni istituzionalmente imposte di cui Foucault parla: un potere infine sfociato nella fredda assurdità di crimini per i quali è difficile pronunciare parola, un potere che, ai giorni nostri, ancora non è stato completamente sconfitto, date le numerose forme di dittatura ancora esistenti.

È però utopistico immaginare una realtà in cui la produzione di discorso sia completamente libera da vincoli: che tipo di società comunicativa sarebbe?Etica e moralità che ruolo assumerebbero?
Non risulta, allora, naturale la creazione di limiti che permettano innanzitutto la sopravvivenza del discorso stesso e in un certo senso della vita, e non creino un risvolto uguale e opposto rispetto ad un’estremizzazione delle restrizioni?
Penso che sia fondamentale l’equilibrio fra le parti, il gioco che crea l’armonia, perché il tutto dipende dal nostro modo di giocare secondo le regole, affinché possa magari essere non solo un potere esercitato dagli uomini sugli uomini, ma per il bene di questi ultimi.


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