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giovedì 16 luglio 2009

La follia...e le diverse facce di Foucault

Foucault scrive in modo difficile, oscuro. Mi capita molte volte di non capire esattamente le sue affermazioni, i suoi riferimenti enciclopedici; tuttavia dai suoi scritti ho ricavato, in più di una circostanza, feconde suggestioni.
Uno dei suoi libri più affascinanti è proprio questo L'ordre du discours, letto da Foucault stesso al Collège de France nel dicembre del 1970. Foucault spiega il proprio metodo, i progetti di lavoro, il proprio campo di indagine.Soprattutto, esamina le procedure che controllano, selezionano, organizzano e distribuiscono la produzione del discorso. Mi capita di pensare a questo libro quando qualche mia idea, pur valida, viene respinta da un'autorità qualsiasi, quando le proposte ragionevoli di qualcuno vengono ignorate dalle gerarchie. Quando i propri pareri, le proprie intuizioni e percezioni vengono violentemente avversate perché non "istituzionali". Tutti meccanismi di esclusione e di potere che Foucault, in questo libro, per certi versi profetico, ci aiuta a capire e a smascherare. Ecco, il merito di Internet mi pare proprio questo, di aver allargato il numero dei soggetti parlanti, di aver moltiplicato in modo salutarmente caotico i discorsi, di aver ampliato la libertà, di aver spostato i confini del controllo e dell'esclusione. In esso, infatti, l'autore pone al centro delle proprie preoccupazioni teoriche, per la prima volta in maniera esplicita, la questione dei rapporti tra discorso, verità e potere, delineando il progetto critico e genealogico che avrebbe sviluppato e approfondito negli anni successivi. Ne "L'ordine del discorso" Foucault analizza in particolare le varie forme in cui in ogni società la produzione del discorso è al tempo stesso controllata e selezionata, in modo da scongiurarne i poteri e i pericoli, e poterlo così padroneggiare. Questione piú che mai di drammatica attualità. Laddove i confini dell’ordine consensuale diventano incerti, frastagliati e cangianti, l’eccedenza non è più facilmente identificabile e classificabile, quindi non è più ritualizzabile e dominabile.
L’eccesso della passione cortese avviene in un mondo dove non c’è più il codice cortese. L’eccesso religioso avviene in un mondo dove non c’è più un ordine sacro condiviso. L’eccesso della ragione avviene in un mondo dove la ragione è slegata dall’ordine etico. Ora un folle è chiamato a restaurare un ordine ormai dissolto: Don Chisciotte quello della cavalleria, Amleto quello della condizione umana stessa: «Il mondo è fuori squadra: che maledetta sorte esser nato per rimetterlo in sesto». Ed è anche questo il momento in cui con l’avvento della scienza moderna si inaugura un diverso statuto della soggettività. Sarà proprio la scienza a ridurre la follia a malattia e a creare pratiche di internamento e di esclusione di tutte le forme di eccedenza. Nasce un diverso modo di vedere la follia, una nuova “sensibilità” che la rigetta e la rinchiude. Nascono le
istituzioni totali, che la escludono dalla vita quotidiana e condivisa, la riducono al silenzio, e medicalizzandola cercano di sbarazzarsi di quell’interrogativo enigmatico e inquietante, di quella verità inudibile che la follia sembra porre sulla condizione umana. Come ha lapidariamente evidenziato Foucault: «La follia non la si può trovare allo stato selvaggio. La follia esiste solo all’interno della società, non esiste al di fuori delle forme della sensibilità che la isolano e delle forme di repulsione che la escludono o la catturano. Così, si può dire che la follia è presente nell’orizzonte sociale come un fatto estetico o quotidiano; e diventa derisoria, menzognera, si riduce a un fenomeno naturale, legato alla verità del mondo [mondo nel senso di naturale-biologico e non umano]. Da questa presa di possesso positivista Foucault mette in evidenza come la follia oggi sia sdoppiata in due diverse rappresentazioni: da una parte una concezione classica e letteraria; dall’altra una concezione moderna e scientifica. C'è la follia della lunga storia della psichiatria, che dal XVII sec. si è impegnata a studiare e a trattare i pazzi. La follia dei grandi quadri nosografici, dei manuali di psicopatologia, delle scuole di pensiero clinico. Abbiamo la follia nelle istituzioni totali. E poi c'è un'altra follia. La follia dei grandi testi letterari e drammaturgici. La follia di Amleto, di Re Lear, di Don Chisciotte. Prima ancora la follia di Orlando. Tra loro molto diverse, ma in ogni caso dalla stessa parte. Dalla parte della scrittura che non cessa mai di interrogarci. Tra la clinica e il campo dell'arte. Abbiamo quindi uno stesso oggetto ma su due registri differenti. Foucault ci dà una prima indicazione a proposito della letteratura. La follia nella letteratura ha una funzione di rivelazione, di verità. Quando i personaggi della letteratura sono folli, lo sono per dire o indicare una verità. Una verità che possono incarnare solo a partire da quella posizione e che gli altri personaggi non possono occupare. Eppure qualcosa non torna. La follia non ci dice soltanto una verità, ci mostra anche una sofferenza. Quello che emerge sul versante della clinica e della pratica istituzionale non è sicuramente la follia nel suo versante artistico, filosofico, esistenziale, la follia in grado di aprire alle verità fondamentali dell’esistenza. Sembra allora che la letteratura e l’arte in genere abbiano a che fare con la verità che la follia riesce a mostrare, mentre la clinica abbia a che fare con le conseguenze di tale condizione. Conseguenze che si iscrivono nel reale del corpo, della sofferenza e a cui occorre dare una risposta. La mia ipotesi è che si possa tentare di avere un approccio sinottico e portare nel campo clinico la questione della verità che la letteratura e l’arte in genere esplorano, e d’altro canto tentare di riconoscere ed approfondire la parte di sofferenza e il prezzo che il folle paga per la sua “scelta” di libertà; un prezzo che spesso fa di quella “libertà” una prigione.

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