Modalità esami per l'appello straordinario di dicembre

il limite di battute dei post è di 8000
il termine ultimo per postare sarà lunedì 7 dicembre

venerdì 17 luglio 2009

PENSIERO STUPENDO

Iscriversi innocentemente ad un club del libro, ad un partito politico di qualsiasi colore, frequentare la chiesa, ma anche semplicemente istruirsi…Non si è mai pensato a queste cose come a fattori di restrizioni al discorso, ma è così!

Micheal Foucault parla di un terzo gruppo di procedure di controllo del discorso, dopo quelle interne e quelle esterne, ovvero quelle che colpiscono le condizioni di messa in opera dei discorsi, e quindi limitano e selezionano i soggetti parlanti.

Foucault illustra come non tutte le regioni del discorso siano alla portata di tutti, perchè regolate da norme e condizioni per la loro attuazione.

"Lo scambio e la comunicazione sono figure positive che operano all'interno di sistemi complessi di restrizione, da cui non sono indipendenti", con questa frase l'autore esordisce per fare degli esempi, che poi non saranno altro, come vedremo, che quelle nostre "innocenti evasioni" di cui parlavamo pocanzi.

Il primo tra questi è il rituale, un sistema di costrizione che implica comunicazione, esso infatti definisce le qualità che deve avere il parlante (egli deve agire, muoversi e parlare secondo formule convenzionali, dunque restrittive), e inoltre determina l'efficacia del discorso su coloro che ascoltano e impone dei limiti.

Le proprietà del parlante determinano dunque chi può officiare un rito e chi no.

Pensiamo, ad esempio, ad una messa domenicale, durante l'eucarestia il sacerdote deve recitare una determinata formula e agire come previsto dai canoni religiosi affinchè il rito abbia buon fine; il parroco non può non recitare quella formula o modificare le modalità del rito religioso, ma attenersi alle normative e convenzioni di quel determinato rituale.

Un club del libro, un cineforum, possono essere invece questi esempi di società di discorso.

Le società di discorso fanno circolare i discorsi in ambienti “chiusi” in modo tale che i soggetti parlanti, che possono “usufruire” del discorso, siano solo i membri del club.

Per quanto riguarda le dottrine, pensiamo ad esempio a quelle politiche, citate nella nostra premessa, esse hanno il potere di assoggettare bidirezionalmente soggetti parlanti e discorsi.

Una dottrina ormai assunta dal parlante, lo condiziona imponendosi così sui suoi discorsi; l’officiare qui è prevedibile, tanto è vero che quando sentiamo parlare un politico alla tv, pronostichiamo che egli difenderà l’operato del proprio partito, mentre quello di un partito di colore differente, lo attaccherà.

Le dottrine possono essere così un’arma: le sette religiose, le organizzazioni, usano infatti le dottrine per plagiare i loro adepti che colgono la determinata dottrina come uno stile di vita, e, nel peggiore dei casi, come un’assuefazione.

Abbiamo visto fin ora come i soggetti parlanti non possono accedere a tutti i tipi di discorso, e non tutti i tipi di discorso sono fatti propri dai gruppi sociali perché sistemi di sottomissione del discorso. Ma vi è un caso, l’ultimo caso, dove i discorsi sono concessioni di un sistema politico che ne distribuisce i divieti e i permessi con le conoscenze e le autorità che esse concedono.

È il caso dell’appropriazione sociale dei discorsi: l’educazione, appunto, distribuisce veti e licenze segnate dalla distanza tra le classi sociali. Per Micheal Foucault “ ogni sistema di educazione è un modo politico di mantenere o di modificare l’appropriazione dei discorsi con i saperi che essi comportano”.

È in quest’ultimo caso che la parola e il sapere si rivelano essere ciò che realmente sono, ovvero potere.

Roland Barthes concepiva la conoscenza come deliziosa, mentre per Foucault la conoscenza era solo il manifestarsi, l’esecuzione del potere della parola, perché ciò che conta è come la società distribuisce e valorizza il sapere, che preme sui discorsi poiché parola del potere.

Foucault vede il discorso come “una sorta di pensiero rivestito dai suoi segni e reso visibile dalle parole”, ma alla luce di queste nostre ultime considerazioni, di che pensiero si tratta?

È un pensiero non nostro, già pensato da qualcun altro e che noi dobbiamo far rivivere attraverso il rituale, è un pensiero che circola in un luogo ben ristretto, un pensiero che non ci appartiene ma che ci da l’illusione di essere anche il nostro, è un pensiero imposto, distribuito, istituzionale, è un pensiero che non sembra poi così tanto pensiero, vista la libertà che implica questa parola, è un pensiero che assomiglia molto di più a un potere.

Verrebbe da dire un po’ satiricamente: che pensiero stupendo….

OLIVERIO FLAVIA

Nessun commento:

Posta un commento