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domenica 13 dicembre 2009

Il Folle fa "paura"

Michel Foucault nel suo saggio "L'ordine del discorso" letto al College de France, evidenzia in modo molto interessante alcune procedure di controllo dei meccanismi di esclusione delle parole.Rende quindi espliciti questi meccanismi di controllo del discorso attraverso procedure che lo depotenziano.L'autore si chiede infatti dove si trovi il pericolo nel parlare della gente e nel proliferare indefinito dei discorsi.
All' interno di una società la produzione di un discorso è controllata, selezionata , in modo che si possano evitare pericoli. Tutti coloro che vivono all' interno della società hanno appresoche non si può parlare di tutto in qualsiasi circostanza, non si può trattare ogni argomento.
Da qui emerge la figura del Folle ovvero l'uomo che guidato dall' istinto( e non più dalla razionalità) , esce fuori dai quei controlli sul discorso; i discorsi di un folle possono minare il potere di altri: Fin dal medioevo il folle è colui il cui discorso non può circolare normalmente o per lo meno con la stessa facilità di quello degli altri, tant'è che la sua parola è considerata nulla. A dimostrazione di quanto detto Foucault dice:

"La follia , fin dall'età classica , era la verità denudata dell'uomo che tuttavia l'ha posta in uno spazio neutralizzato e pallido ove era come annullata"


Sovente le parole del folle intimavano paura , al punto da indurre soluzioni estreme, al fine di "debellare" il "virus". Nel medioevo i folli venivano messi al rogo; nel corso dei secoli era uso chiuderli nelle carceri oppure in apposite strutture sanitarie. Ma con lo scopo comune di essere sempre controllati per una sorte di "quarantena" , lontani dalla comunità , onde evitare eventuali infezioni tramite le loro parole.
Naturalmente si evince che le procedure di esclusione trattate da Focault (interdetto , partage , la volontà di verità) abbiano una certa attinenza con il desiderio ed il potere: Chi ha deciso che i Discorsi dei folli debbano passare senza lasciare traccia e altri debbano essere ripetuti , citati con una frequenza quasi rituale?
Si evidenzia ancor di più la paura che il folle trasmette a discapito di chi opera queste esclusioni al fine di creare una comunità di pensanti, ovvero persone che pensano a "senso unico" ( società di discorso). Ecco perchè tuttora il "Folle" non viene visto di buon grado rispetto ai sistemi di comunicazione di massa: E' colui che non ci sta ad avere un sapere povero e di consumazione veloce , ma colui che cerca di liberarsi da queste restrinzioni mentali che si evincono da determinati Discorsi.

Punti fondamentali de "Il piacere del testo"

Barthes, in "Il piacere del testo", rileva le due nozioni di piacere e di godimento estrapolandole dal contesto lacaniano (contesto di un movimento dal conscio all'inconscio) e proittandole ad un universo di discorso che appartiene all'area di Nietzsche e di Sade.
Si afferma nel "Piacere del testo":"Lo scrittore di piacere (e il suo lettore) accetta la lettera; rinunciando al godimento ha il diritto e il potere di dirla: la lettera è il suo piacere, ne è ossesionato. Lo scrittore di godimento (e il suo lettore) comincia il testo sostenibile, il testo impossibile: non potete parlare "su" un testo del genere, potete solo parlare "in" esso, nel modo suo, entrare in plagio disperato, affermare istericamente il vuoto del godimento".
Barthes fa anche la differenza tra testo di piacere e testo di godimento:"Testo di piacere: quello che soddisfa, dà euforia; quello che viene dalla cultura, legato ad una pratica confortevole della letteratura. Testo di godimento: quello che mette in stato di perdita, quello che sconforta(forse fino alla noia), fa vacillare le assise storiche, culturali, psicologiche, del lettore, la consistenza dei suoi gusti, dei suoi valori e dei suoi ricordi, mette in crisi il suo rapporto col linguaggio".
L'opposizione radicale sarebbe: il piacere è prodotto dalla ripetizione, il godimento è il prodotto dell'evento, è precoce, tutto si scatena in una sola volta.
Il piacere del testo è l'euforia, la soddisfazione, mentre il godimento è la scossa; nel godimento il soggetto perde la consistenza del suo Io. Se il piacere può nascondere e inaridire la fonti del godimento, ciò accade in quanto esso è dicibile, in quanto occupa dei luoghi, invece il godimento è in-dicibile.
Per definire il piacere del testo bisogna definire anche il testo, e possiamo definirlo come: lo spazio raro di linguaggio da cui ogni scena è assente, il testo non è un dialogo, è come una piccola isola, manifesta la natura asociale del piacere. Sulla scena del testo il lettore incontra se stesso e i propri pensieri, incontra il linguaggio nel suo momento istitutivo e non già istituito.
Barthes attua anche una ricerca di quanto sta attorno all'opera, al testo. Il testo deve dare la prova di essere desiderato, questa prova è la scrittura, che definisce come: la scienza dei godimenti del linguaggio. Analizza anche il desiderio di leggere secondo proprie preferenze, avversioni e motivazioni associate a tale attività.
Seguendo le sue analisi si può tentare la ricostruzione di una tipologia dei piaceri della lettura. Innanzi tutto c'è il feticista che si accorderebbe col testo ritagliato, con lo spezzettamento delle citazioni, col piacere della parola. L'ossessivo avrebbe la voluttà della lettera, dei linguaggi sfasati, dei metalinguaggi. Il paranoico consumerebbe o produrrebbe dei testi tortuosi, delle storie sviluppate come ragionamenti, delle restrizioni segrete. L'isterico sarebbe colui che prende il testo per oro colato, che entra nella commedia senza contenuto, che non è più il soggetto di nessun sguardo critico.
Applica anche la sua indagine sui segni alla letteratura e grazie a questa porta alla luce il fatto che lo scrittore subisce gli effetti della propria scrittura, ne è trascinato come da una corrente, che sposta e trasforma. Così il linguaggio dei romanzi, delle poesie si rivela attraversato dal desiderio: che scrive ne è posseduto e finisce gettato sulla scena della pagina come un osso di seppia sulla spiaggia.

domenica 6 dicembre 2009

Uno sguardo verso la "follia"

"L’Ordine del discorso" è il testo con cui Michel Foucault tenne la lezione inaugurale al Collège de France, (2 dicembre 1970) in cui affrontò i prediletti temi delle “procedure d’esclusione” che colpiscono il discorso. Nei testi "Storia della follia nell’età classica"(1961) e "Nascita della clinica"(1963), Foucault attraverso approfondite ricerche d’archivio ricostruisce il sistema della follia aprendo una nuova concezione del rapporto tra “ragione-sragione” e tratta della progressiva emarginazione della malattia mentale e del finale assoggettamento dei “folli ” agli uomini di ragione.

“In una società come la nostra si conoscono, naturalmente, le procedure d’esclusione”. Dei tre grandi sistemi d’esclusione che colpiscono il discorso, ovvero, la parola interdetta, la partizione della follia, e la volontà di verità io tratterò quello della follia: la cosiddetta “partage”-partizione tra ragione e follia.
Il termine follia deriva dal latino follis, espressione di origine onomatopeica che significa letteralmente “mantice”, “sacco di cuoio” o “pallone” e indica, per via metaforica, una persona dalla testa vuota. Con il termine follia si definisce in primo luogo la condizione di chi è affetto da una grave malattia mentale, o da una momentanea perdita della ragione. Per estensione, il termine indica ogni forma di stoltezza, mancanza di senno e l’incapacità di giudicare bene. La follia viene attribuita anche ad ogni comportamento che derivi da un forte turbamento prodotto dai sensi, come è il caso di una esasperata, vibrante passione d’amore, o di un desiderio senza freni (amare fino alla follia).

Folle è colui che vive ai margini, non inquadrabile nella schiera e nella categoria in cui le abitudini sociali e la forza del senso comune classificano la vita di ciascuno; nella sua realtà dolorosa e lacerante; costretto persino a soffocare i suoi sentimenti d’amore.

Anche nella canzone “Ti regalerò una rosa” il cantante Simone Cristicchi analizza il tema dei folli e scrive:


***************
Ti regalerò una rosa
Una rosa rossa per dipingere ogni cosa
Una rosa per ogni tua lacrima da consolare
E una rosa per poterti amare…
…Mi chiamo Antonio e sono matto
Sono nato nel ’54 e vivo qui da quando ero bambino
Credevo di parlare col demonio
Così mi hanno chiuso quarant’ anni dentro a un manicomio
Ti scrivo questa lettera perché non so parlare …
…Io sono come un pianoforte con un tasto rotto
L’accordo dissonante di un’orchestra di ubriachi
E giorno e notte si assomigliano
Nella poca luce che trafigge i vetri opachi
Me la faccio ancora sotto perché ho paura
Per la società dei sani siamo sempre stati spazzatura
Puzza di piscio e segatura
Questa è malattia mentale e non esiste cura….
….I matti sono punti di domanda senza frase
Migliaia di astronavi che non tornano alla base
Sono dei pupazzi stesi ad asciugare al sole
I matti sono apostoli di un Dio che non li vuole
Mi fabbrico la neve col polistirolo
La mia patologia è che son rimasto solo
Ora prendete un telescopio… misurate le distanze
E guardate tra me e voi… chi è più pericoloso? …
Non come le cartelle cliniche stipate negli archivi
Dei miei ricordi sarai l’ultimo a sfumare…
****************

Analizzando le parole, comprendiamo come il cantante voglia delineare il ruolo che ha il matto nella nostra società e come appare agli occhi degli altri, e come voglia dimostrarci ancora una volta che solo i folli hanno capito il vero significato del sostantivo maschile “Amore”.
Per secoli la parola del folle o non era capita e accolta o era considerata come fonte di verità, talvolta ignorata e fatta cadere nel silenzio; mentre per egli questa può dirci qualcosa di profondo sulla verità dell’uomo, può mostrarsi come una “prodigiosa riserva di senso”.
Foucault attraverso le sue ricerche ha cercato di capire in che modo i folli erano riconosciuti, scartati ed esclusi dalla società proprio perché la follia rappresentava e rappresenta tutt'oggi nella società una modalità di separazione tra gli individui che sorge da un atteggiamento culturale di base; ha operato nel liberare il folle da una identificazione data dal senso comune; e la medicina e le istituzioni intervengono in un secondo momento per giustificare e spiegare gli effetti di questa opposizione. Foucault ha approfondito ed analizzato i metodi e le istituzioni che classificano il folle come tale, approfondendo le specifiche istituzioni delegate al contenimento della follia che rappresentano l’insorgere di una nuova forma di confine della sragione (deraison) ossia i manicomi. Oggi tale “parola” ci mette in agguato e il ruolo del medico presta orecchio alla parola del folle mantenendo una cesura.

Il folle sin dalle diverse epoche ha avuto varie attribuzioni; gli antichi greci consideravano due accezioni del concetto di folle: nella prima accezione era una forma di pazzia dovuta all’umana debolezza; nella seconda era considerata di origine divina e consisteva in un entusiasmo o furore ispirato; spesso nella letteratura classica greca la follia era determinata dalle divinità, per possessione estatica o come punizione per delitti o colpe; nel Medioevo la sua figura era vista nelle molteplici controfigure carnevalesche e popolari eleggendola a testimone di una verità nascosta ed inaccettabile e la follia era interpretata come il frutto di una possessione di origine magica, astrologica, amorosa o demoniaca. L’Umanesimo guardava il folle attraverso uno sguardo eccentrico e rilevatore cui rivolgersi in cerca di un senso delle cose. Lo studio della malattia mentale dell’uomo ha raggiunto il suo massimo splendore nel Novecento e la psichiatria degli ultimi secoli attribuisce la follia ad una macchina non più efficiente, non più integrata nel suo ambiente, non più in grado di dar vita a valori sociali ed economici.
Oggi la situazione degli istituti dove vivono codeste persone è cambiata e il cantante Cristicchi descrive la sua esperienza attraverso i centri che ha visitato e contrappone la situazione del vecchio manicomio agli attuali centri dicendo che queste strutture nella vita dei malati:
«Sono importanti soprattutto perché essi sono accolti, hanno la possibilità di socializzare e di intraprendere percorsi di normalità. Nei casi che ho visto, per esempio, le persone hanno una loro stanza dove possono mettere i propri oggetti personali: sembrerà banale, ma anche questo è un modo per recuperare una propria dignità e identità, se confrontata alla spersonalizzazione di cui erano vittime nei vecchi manicomi. Così come la possibilità che si dà loro, attraverso attività terapeutiche e riabilitative, di trovare mezzi per comunicare la propria esperienza e ricucire un rapporto interrotto con il mondo. Visitando diversi centri mi sono reso conto quanto l’arte possa essere utile. Dipingere o scolpire consente loro di dare forma in maniera pura, naturale, a uno stato d’animo che stanno vivendo in quel momento». Cè un altro aspetto dell’arte che Cristicchi ha voluto mettere in luce: la contiguità tra la sensibilità artistica e quella di chi è affetto da disturbi mentali, che emerge lampante dall’incontro avuto con Alda Merini, una delle maggiori poetesse italiane contemporanee, recentemente scomparsa, che ha passato lunghi periodi della sua vita in manicomio.
«Avevo letto le sue opere e nutrivo un timore reverenziale nei suoi confronti. E’ una persona che ha un grandissimo carisma e, allo stesso tempo, possiede una grande cultura. Quando parla ti dà delle grosse emozioni. Certo che ascoltandola ti accorgi che possiede una sensibilità che noi “normali” non conosceremo mai! E soprattutto ascoltandola capisci che non è pazza». Infine l’altra faccia dei centri psichiatrici, l’esperienza di coloro che là dentro ci lavorano, «persone che per poter fronteggiare situazioni emotivamente così complesse hanno dovuto metter su una specie di corazza. Ma, nonostante ciò, tutte accomunate da una straordinaria passione per quello che fanno».

mercoledì 2 dicembre 2009

IL DISCORSO E LE SUE PROCEDURE D’ESCLUSIONE

Uno dei libri più affascinanti di Michel Foucault è L'ordre du discours, “L’ordine del Discorso”, letto da egli stesso al Collège de France nel dicembre del 1970. Foucault spiega il proprio metodo, i progetti di lavoro, il proprio campo di indagine. Soprattutto, esamina le procedure che controllano, selezionano, organizzano e distribuiscono la produzione del discorso.

Ma che cosa è in verità il Discorso?

Il Discorso non è un sistema di segni che rimanda ad altro, ma ' pratica che forma sistematicamente gli oggetti di cui parla ': esso è dunque autosufficiente, si autoregola e non è riconducibile ad una causa o a un fondamento unico esterno ad esso, nè ad un soggetto trascendentale o empirico, nè a condizioni economiche e storico-sociali, nè allo spirito dei tempi. Il Discorso però si inserisce in una trama di rapporti di potere che permea ogni società: esso è una pratica che dipende dal potere, ma che genera anche potere. Un potere di cui ogni singolo individuo tenta di impadronirsi, è cosi che il linguista francese definisce il Discorso. La produzione del Discorso in ogni società è controllata, selezionata e organizzata tramite delle procedure di esclusione: l’interdetto, la partizione e infine la volontà di verità.

L’interdetto: quando non si ha il diritto di dir tutto, non si può parlare in qualsiasi circostanza, insomma chiunque non può parlare di qualunque cosa, ecco perché tabù dell’oggetto, rituale delle circostanze e diritto privilegiato del soggetto che parla. Questi sono i tre tipi di interdetto che incrociandosi tra di loro danno luogo ad un reticolo più fitto, oggi ad esempio si ha quando si parla di sessualità e politica, come se il Discorso in apparenza sia legato al desiderio e al potere. Ma non è soltanto ciò che manifesta il desiderio, ma il Discorso è ciò per cui si lotta, e il potere di cui si cerca di impadronire.

La partizione (ragione-follia): si pensi all’opposizione tra ragione e follia. Nel Medioevo la parola del folle non veniva presa in considerazione, perché non aveva nessun senso logico; oppure le si attribuivano strani poteri, quello di annunciare l’avvenire, vedendo tutto il mondo con saggezza e ingenuità. Oggi invece la parola del folle viene ascoltata e decifrata, grazie a istituzioni (manicomi,case di cure, ospedali psichiatrici ecc..) che consentono a medici e psicanalisti di aiutare e ascoltare i propri pazienti. La follia quindi ai giorni nostri non viene più concepita come elemento negativo.

Volontà di verità (vero-falso): principio del quale Foucault si dedicò maggiormente. Nel VI secolo i Greci ritenevano che il “Discorso vero” era quello per cui si aveva rispetto, al quale bisognava sottomettersi, perché era pronunciato da chi regnava dicendo il potere e il quale partecipava all’evento e giustiziava. Un secolo dopo le cose iniziarono a cambiare, la verità non si trovava più in quel che il Discorso era, ma in quel che diceva, cioè verso l’enunciato stesso e il suo senso. Infatti attualmente la volontà di verità è istituzionale ed è rafforzata da pratiche come la pedagogia, l’editoria ecc… dal modo in cui il sapere è messo in opera in una società, da come è valorizzato, distribuito e attribuito.

Nel corso dei secoli molti studiosi, filosofi e linguisti hanno tentato di comprendere quale sia la reale verità del Discorso, teorizzando idee sul suo funzionamento, ma ancora al giorno d’oggi la veridicità del Discorso risulta volatile. Il Discorso diviene il nostro oggetto di desiderio, gli uomini tentano di raggiungere la sua comprensione, la sua veridicità, ma non si arriva mai a capire, nonostante venga analizzato, se un Discorso è vero o falso, perché esso non riesce a donarci e farci comprendere a pieno la sua entità. Un Discorso sappiamo che è reale, perché viene pronunciato realmente da qualcuno, ma non si può avere mai la certezza se l’enunciato è vero o falso.

Oltre a queste esistono altre procedure di controllo e delimitazione del discorso; dove i discorsi tendono a controllarsi. Sono procedure che non funzionano come principi di classificazione, d'ordinamento e di distribuzione ma vogliono padroneggiare una dimensione del discorso che Foucault chiama dell'evento e del caso.

il commento: nelle Società esiste un dislivello tra i discorsi, quelli che "si dicono" ma che non restano, passano nel momento in cui vengono enunciati; e quelli che restano, che originano nuovi atti, che vengono ritualmente trasmessi, che variano, che vengono ripresi e citati ( esempio ne nostro sistema culturale: testi religiosi e giuridici, letteratura, libri scientifici ecc...).Il commento deve dire per la prima volta quel che era già stato detto e ripetere ciò che non era mai stato detto.Il commento è un discorso che non nasce dal caso, parte da un testo, dice cose anche diverse, ma ripropone il testo di partenza. Nel commento "...il nuovo non è in ciò che è detto, ma nell'evento del suo ritorno".

L' autore: Foucault non intende per autore che scrive o recita un testo, ma 'L' autore come principio di raggruppamento dei discorsi, come unità di origine dei loro significati'. La funzione dell'autore va al di sopra di ciò che è la presenza e la materialità di chi realmente scrive un'opera; a seconda delle epoche in Europa l'autore ha conferito status di verità alla propria opera solo in virtù della sua firma, oppura non si è preoccupato di rendere nota la sua entità, come per i testi letterari del Medioevo. Il principio dell'autore limita il discorso alla sua individualità, cerca di dare coerenza alle infinite possibilità dl linguaggio.


Un altro principio di limitazione da riconoscere è la disciplina , l'organizzazione delle discipline però si oppone sia al commento che all'autore, per una serie di motivi; la disciplina non individualizzante, è definita da un campo d'oggetti e di metodi, non è ripetitiva, ma al contrario necessita di nuovi enunciati. Però non tutto quello che costituisce la disciplina è vero a proposito di qualcosa. Ad esempio nel campo della medicina , non è costituita da tutto ciò che si può dire di vero sulla malattia, una proposizione prima che appartenga alla patologia, deve rispondere a condizioni rigide della verità, e deve rivolgersi ad un piano d'oggetti determinato (strumenti concettuali o tecnici, metafore accettabili ). Dunque una proposizione prima di potersi dire vera o falsa, per appartenere ad una disciplina, essa deve essere nel vero.

Sono passati venticinque anni dalla morte di Foucault, ed egli era già stato capace di trarre presagi sul futuro dall'analisi del proprio tempo. Oggi le procedure di esclusione, non esitono più, nel senso che non si possono più effettuare sui discorsi a causa di molti cambiamenti; ad esempio basta pensare agli ultimi vent'anni con l'esplosione del web, ormai considerata la più grande comunicazione di massa capace di cambiare i costumi e il modo di parlare della società. Con internet è impossibile controllare e organizzare il discorso di ogni singolo individuo che esercita sul web. Con Foucault si parlava di individualità, oggi di massa.