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sabato 11 luglio 2009

E' l'ordine del discorso, bellezza!

“L’ordine del discorso” è un monologo del 1970 redatto dal filosofo francese Micheal Foucault, rappresentante del post strutturalismo, che si richiama spesso a Hyppolite, suo maestro di studi e di vita. Foucault vuole mostrare come i testi non accadono in un vuoto, ma all’interno di una ricca e complessa rete di relazioni sociali, e tutti i nostri concetti sono il prodotto di un discorso preparato. Vi sono delle regole, e ogni comunità può ammettere o respingere i discorsi, che possono portare a situazioni rischiose.

Foucault presenta questo con tutti gli atti comunicativi, che non possono riprodursi liberamente ovunque, con la comunità che seleziona o abbandona i suoi discorsi.

Affronta il tema delle regole che non sono naturali, ma sono delle norme convenzionali, a riduzione del numero di discorsi. Interesserà, inoltre, il limite che si mette alla presa di parola, diventando quest’ultima una responsabilità.

Per Foucault le strutture non sono condizionate, ma sono contingenti per il via del materiale a disposizione, con il sistema che è il risultato di un processo.

L’interdizione, la partizione e la volontà di verità sono i temi presentati per le regole e gli atti comunicativi, come procedure d’esclusione.

Nell’interdizione ci sono discorsi che non si possono realizzare e persone che non possono parlare. Non c’è un accordo prestabilito, ma un qualcosa che è imposto dall’esterno. (Esempio di interdizione: temi sessualità e politica)

Nella partizione tra ragione e follia non è escluso che qualcuno parli, ma i discorsi finiscono spesso in luoghi sbagliati, come nel caso dei folli, dove non si ha la stessa importanza o dignità. Si prende l’esempio della follia con due visioni.

Nella prima il folle non è ascoltato, mentre nell’altro caso la parola del folle era considerata un canale privilegiato del Dio, come nel Medioevo. Sempre nel Medioevo, il folle è un personaggio, oggetto di rappresentazione artistica e di allegoria, stereotipo dell’insensatezza della condizione umana e ricettacolo delle paure dei propri contemporanei. La follia del folle è sempre manifestata con le parole.

Il terzo aspetto è la volontà di verità. Vi è falsità o verità in una frase che non è il prodotto di regole sociali, basate sull’enunciato e sull’oggetto citato.

La volontà di verità sarà una volontà di sapere, con le comunità che devono avere un interesse, e il processo collettivo cambia in ogni comunità. Certi discorsi sono presenti perché interessano ad un interesse comune. La verità è riconfermata dal modo in cui il sapere è messo in opera in una società e dal modo in cui esso è valorizzato.

Non tutti i testi sono desiderati, uguali o adatti in ogni luogo. Non siamo tutti interessati al sapere le stesse cose e questo potrebbe apparire come un meccanismo di filtro per il discorso.

Dietro questi tre aspetti c’è una volontà di fondo per impedire l’anarchia nell’ambito della parola. Se tutti parlano e ascoltano in piena parità, questo aspetto andrebbe a rivoltarsi contro la condizione sociale, portandola ad una fine. Con le regole si rinforza la struttura sociale, con una comunità che non sarebbe in grado di reggere il peso di un’assoluta libertà di parola, e per questo bisogna governare il parlare nei modi e nei luoghi appropriati. Le strutture e le pratiche linguistiche hanno, comunque, una loro ragionevolezza.

Foucault osserva, inoltre, un conflitto permanente fra organizzazione sociale e organizzazione pura della parola. Non vi è aspetto di una struttura sociale che non abbia motivazioni, buone o cattive, per formulare giudizi.

Nessuna istituzione sociale può funzionare senza lingue, e Foucault mostra il rapporto di necessità e conflitto con la struttura sociale, che determina il discorso.

Il discorso non è niente più che un gioco, di scrittura, lettura e scambio, utilizzati per mettere in moto i segni. Il discorso si annulla ponendosi a disposizione del significante. Per analizzarlo bisognerà dunque: rimettere in questione la nostra volontà di verità, restituire al discorso il suo carattere d’evento e togliere la sovranità del significante.

I temi presentati da Foucault (interdizione, partizione con opposizione ragione/follia e volontà di volontà) oggi, più che mai, possono riallacciarsi alla situazione odierna della stampa e dei mass media nel mondo, e, specificatamente, nella nostra penisola italiana. La stampa di oggi, globalizzata e infarcita di mezzi disumani, a mio modesto parere, è vittima di un sistema prodigo di interdizioni e di partizioni, utilizzate il più delle volte “ad personam”. Curioso, senza dubbio, l’episodio del playboy / magnate finanziario che querela gli unici due giornali in cui lui, suo fratello, i suoi figli, o il suo direttore di tg preferito, non possiedono dei titoli azionari.

Pochi sono attualmente gli esempi di volontà di verità, da ricercare soprattutto nell’animo del lettore, vittima di sottili manovre e lavaggi di cervello. Qualcuno dall’altra parte della barricata, o per meglio parafrasare, della carta stampata, ha provato e prova ostinatamente a far prevalere la volontà di verità e di sapere, come il reporter Fabrizio Gatti de “L’espresso”, disposto a tutto pur di rendere una giustizia nei suoi articoli.

Il noto giornalista, per poter svolgere un reportage sull’immigrazione, si fece ripescare in mare aperto e fu, successivamente, rinchiuso nel centro di permanenza temporanea di Lampedusa, dove ha vissuto una settimana con gli immigrati in condizioni disumane, prima di esser liberato con il foglio di via

La mia cartolina finale prende spunto dal cinema. Credo proprio che il famoso Ed Hutchison, interpretato da uno strepitoso Humphrey Bogart, in un futuro remake de “L’ultima minaccia”, dovrebbe proprio cambiare la sua battuta storica con un: "E' l'ordine del discorso, bellezza!". Senza voler mancare di rispetto a Micheal Foucault e al suo meraviglioso monologo, ignaro di aver spunto a questo bizzarro finale della tesi sotto ai vostri occhi, scritta da un studente universitario (e da un giornalista, ndr) alle prime armi.


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