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domenica 19 luglio 2009

i pazzi sono fuori!


Foucault e Basaglia furono due intellettuali le cui vite erano destinate a scorrere parallele, ignare l'una dell'altra. Invece, complice la congiuntura storica degli anni ‘60-‘70, queste vite non hanno smesso di convergere. Due vite che continuano a intrecciarsi nella complessa rete dei loro effetti critici e pratici.

Michel Foucault (1926-1984), uno dei maggiori filosofi francesi e maggiori politici del secolo scorso. La sua riflessione, ancora oggi, esercita un’enorme influenza nel dibattito filosofico e politico.
“L'ordine del discorso” è il testo della lezione inaugurale di Michel Foucault presentato al Collège de France. Spesso si tende a presentare l’opera di Foucault, in se estremamente variegata e articolata, come un complesso coerente e strutturato di riflessione teorica. In realtà quella di Foucault è una ricerca che attraversa molte e diverse fasi, nelle quali il filosofo francese spesso mette in discussione i suoi approcci, i suoi assunti, le sue stesse tesi.
Sono molti gli spostamenti teorici che ne caratterizzano l’opera; di particolare rilievo è lo studio della follia e dei sistemi in Europa: la parola del folle o non era intesa oppure, se lo era, veniva ascoltata come una parola di verità. Il folle, fin dal profondo Medioevo, è colui il cui discorso non può circolare come quello degli altri: capita che le sue parole siano prive di senso logico e capita anche che le si attribuiscano strani poteri, quello di dire una verità nascosta o quello di annunciare l’avvenire. In ogni modo la follia della persona si riconosceva attraverso le sue parole, le quali non venivano mai ascoltate.
Foucault analizza il meccanismo manicomiale come un “campo di battaglia” nel quale, attraverso una serie di manovre e di tattiche, si cerca di assoggettare la follia annullando la forza del delirio attraverso la somministrazione intensiva di un principio di “realtà”. Non solo, per Foucault il fenomeno isterico è una forma di controcondotta che si pone come la sola possibilità di resistenza nei manicomi ottocenteschi, l'unico modo per sfuggire al destino della demenza.

Franco Basaglia (1924-1980), psichiatra veneziano, nel 1961 scopre la durezza della realtà manicomiale e diventa il capofila del movimento di lotta contro gli ospedali psichiatrici, sfociato nella legge 180 di riforma psichiatrica.
L'originalità di Basaglia è di aver investito sulla forza della follia piuttosto che neutralizzarla attraverso vecchi e nuovi stratagemmi. Questo approccio rese possibile un'inedita alleanza tra i tecnici e le voci radicali degli internati che cercavano di uscire dall'inferno ponendo il problema politico del modo in cui venivano governati, e a quale prezzo, nelle nostre società.
In tal senso, l'operazione di Basaglia fu una contromanovra esemplare rispetto non solo alla logica manicomiale, ma più in generale alla storia della gestione medico-politica della follia, dall’alienismo alla comunità terapeutica.
A lui si deve l'introduzione in Italia dal suo nome chiamata anche Legge Basaglia, che introdusse un’importante revisione sui manicomi e promosse notevoli trasformazioni nei trattamenti psichiatrici sul territorio. In base alla legge Basaglia, i pazienti devono essere trattati come uomini, persone in crisi. Questo fu l'inizio di una riflessione sociopolitica sulla trasformazione dell'ospedale psichiatrico e di ulteriori esperienze di rinnovamento nel trattamento della follia.
Si eliminano tutti i tipi di contenzione fisica e le terapie elettroconvulsivanti (elettroshock), vengono aperti i cancelli dei reparti. Non più solo terapie farmacologiche, ma anche rapporti umani rinnovati con il personale.
Basaglia istituisce subito, all'interno dell'ospedale psichiatrico, laboratori di pittura e di teatro. Nasce anche una cooperativa di lavoro per i pazienti, che così cominciano a svolgere lavori riconosciuti e retribuiti. Ma ormai sente il bisogno di andare oltre la trasformazione della vita all'interno dell'ospedale psichiatrico: il manicomio per lui va chiuso ed al suo posto va costruita una rete di servizi esterni, per provvedere all'assistenza delle persone affette da disturbi mentali. La psichiatria, che non ha compreso i sintomi della malattia mentale, deve cessare di giocare un ruolo nel processo di esclusione del "malato mentale", voluto da un sistema ideologico convinto di poter negare e annullare le proprie contraddizioni allontanandole da sé ed emarginandole.

Entrambi rifiutano sia il modello rivoluzionario che quello riformista, vedendovi due modi diversi di escludere e mettere sotto tutela le lotte concrete della gente. Questo rifiuto non coincide però con una diminuzione dell'impegno politico a favore di un atteggiamento più concreto.
Sovrapponendo i percorsi di Foucault e Basaglia, ciò che emerge con chiarezza è la figura di un’epoca nella quale la trasformazione fu anche un’avventura individuale.
Non si può, dunque, trasformare il mondo senza trasformare se stessi, senza esporsi al rischio di diventare altri da ciò che si è: su questo punto le esperienze di Foucault e di Basaglia coincidono profondamente.

"Per poter veramente affrontare la "malattia", dovremmo poterla incontrare fuori dalle istituzioni, intendendo con ciò non soltanto fuori dall'istituzione psichiatrica, ma fuori da ogni altra istituzione la cui funzione è quella di definire, unificare e fissare in ruoli irrigiditi, coloro che vi appartengono. Ma esiste veramente un fuori sul quale e dal quale si possa agire prima che le istituzioni ci distruggano?" (Franco Basaglia).
Giovanna Scalise

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