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mercoledì 8 luglio 2009

BORDI INDISCRETI: LA SOLITUDINE DEL GODIMENTO

Il piacere della lettura, ad alta voce, sussurrata, ascoltata, sospirata o silenziosa. Un attimo di sosta, dal quotidiano, dal mondo. Mondo in cui godimento e piacere hanno il carattere dello scandalo, della perversione, della collocazione altra e maledetta. Per Roland Barthes, il piacere e il godimento, sono sì, unici e irripetibili, seducenti e accattivanti, ma atopici, e perciò scandalosi. Desiderabili perché scritti nel piacere di farlo, di mettere al mondo un pensiero, un romanzo, un graffito. In una follia invitante, nella “nevrosi necessaria alla seduzione”. Tattica erotica che riposa sveglia tra due bordi , uno letterario, colto, prudente, canonico, l’altro sovversivo, vuoto, violento, in cui “si intravede la morte del linguaggio”. Questa faglia coglie il lettore nel pieno del suo godimento. E’ un eccesso di parole, non legate da nessi logici, non sorrette dalla tradizione. Ogni volta è una nuova avanguardia. E’ uno smontaggio senza fine.
Forse è proprio questo ciò che attira l’esperto topo di biblioteca a scovare il libro più bello di tutti. Nello scaffale più polveroso, più in alto, dove non tutti possono arrivare. Ma lui sì, ha i mezzi per farlo. E in quel libro socchiuso, dalle pagine semiaperte e vacillanti, si nasconderà il piacere (edonismo di ogni cultura) e il godimento (distruzione della cultura) del testo. Il soggetto sarà “doppiamente scisso, doppiamente perverso”. Il dicibile e l’indicibile insieme, il polo positivo e quello negativo abiteranno lo stesso luogo. L’appagamento e il mancamento (l’interdetto). Il secondo, la conseguenza del primo.
L’interdetto, ciò di cui è proibito parlare, è il dilemma della modernità. Di ogni epoca che viene dopo quella precedente. E’ lo scarto che separa il classico dal nuovo ad impaurire anche la critica, èlite a cui è concesso parlare del già detto dicendo di più. Forse qualcosa che neanche l’autore del testo in questione aveva immaginato di voler dire. Ebbene, questo gruppo ristretto di persone, si occupa del testo di piacere, mai di quello di godimento.
Anche la semiologia si arrende di fronte ad esso, alle “minime resistenze del testo, al disegno irregolare delle sue vene”. I suoi bordi sono imprevedibili, indiscreti, sospesi nell’arco della loro celata esistenza. Come in un valzer che vede due ballerini vestiti della stessa seta, della stessa foggia, ma diversi. Però soli, lontani dalla società pronta a scrutarli, a scovarne gli indizi nascosti. Nella danza di coppia, come nella lettura di godimento, è l’aristocrazia a dominare, l’asocialità dei soggetti nei confronti della collettività. E’ il rapporto erotico che si instaura tra due esseri umani, tra il lettore e il suo testo. Tra la consapevolezza che in realtà “sono solo parole” e lo slancio che fa pensare: “e pur tuttavia…” mettono in piedi un altro mondo.
Ancora più misterioso il godimento che si prova mentre si ascolta o si legge qualcosa di cui si conosce il finale. La tragedia greca, la favola che la mamma ci raccontava ogni sera, il romanzo preferito. Tutto ciò scatena il piacere della veggenza, l’illusorio potere di condurre il gioco, oppure la volontà di non essere nuovamente delusi, come quando leggemmo o sentimmo la parola fine in un racconto che volevamo finisse diversamente. “È la progressione del godimento”. Fenomeno che nell’ epoca delle soap opera e della cultura di massa, si attua di rado.
Alla luce di ciò che ho letto, e che voi lettori state per finire di leggere, emerge questo: la lettura è un fenomeno metafisico, che va oltre il dato certo, empirico. Forse è proprio il suo carattere aleatorio a intrappolare l’uomo tra le sue potenti fauci. A corrompere, a deviare, a creare delle idee, a sedurre il soggetto. A condurlo in un percorso senza meta, in cui i significati intrinseci si accavallano, senza che se ne trovi una via d’uscita.
Aldilà del suo carattere prettamente letterario e antisemiotico, “Il Piacere del Testo” è un volume che sfugge da ogni verità assoluta, dal fatidico punto di arrivo. È “la fuga senza fine degli interpretanti” di Charles Sanders Peirce. Contro ogni intuizionismo, in favore del dubbio, delle ipotesi che cercano la verità, o almeno un abbozzo di essa. Un’episteme accolta dalla società grazie al desiderio, non al piacere. Tramite quest’ultimo, infatti, non si giunge ad alcuna conoscenza. Il piacere, è rifiutato dallo stesso Nietzche, che lo considera fonte di fallimento, di delusione, di sperpero delle facoltà umane. È l’annuncio della morte di Dio, delle certezze, della vecchia rinomata conoscenza. È l’oltreuomo che si fa avanti dicendo a tutti che il piacere è una delle illusioni più grandi dell’umanità, dall’antica Grecia fino ai giorni nostri. L’ uomo con la lanterna alla fiera delle verità, è uno straniero. Come il lettore del testo nel momento in cui prende il suo piacere in mezzo al caos, all’ irregolare, alla confusione di una Babele sempre esistita e mai sommersa. Una città spettro quella di Babele, in cui una grande biblioteca è sempre pronta a ulteriori visite. Anche nel cuore della notte, quando le città degli umani riposano, e il sonno sovrasta la veglia. In una realtà dove tutto ciò che è detto, è già vecchio, perché passato e soprattutto ripetuto. Ma conservato accuratamente tra i ripiani di un antico scaffale.

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