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giovedì 16 luglio 2009

SOSTIENE LUTERO...

“Per esempio: perché il Papa non vuota il Purgatorio a motivo della Santissima carità e della somma necessità delle anime, che è la ragione più giusta di tutte, quando libera un numero infinito di anime in forza del funestissimo danaro dato per la costruzione della basilica, che è una ragione debolissima”?

“Parimenti: che è questa nuova di Dio e del Papa, per cui si concede ad un uomo empio e peccatore di redimere in forza del danaro un’anima pia e amica di Dio e tuttavia non la si redime per gratuita carità in base alla necessità di tale anima pia e diletta”?

“Dato che il Papa con le indulgenze cerca la salvezza delle anime, piuttosto che il danaro, perché sospende le lettere e le indulgenze già concesse, quando sono ancora efficaci”?

“Soffocare queste sottili argomentazioni dei laici con la sola autorità e non scioglierle con opportune ragioni significa esporre la Chiesa e il Papa alle beffe dei nemici e rendere infelici i cristiani”.

“Se dunque le indulgenze fossero predicate secondo lo spirito e l’intenzione del Papa, tutte quelle difficoltà sarebbero facilmente dissipate, anzi non esisterebbero”.

(Tesi 82, 84, 89, 90 e 91, delle 95 affisse sul portale della chiesa di Wittemberg, il 31 ottobre 1517)



<<[…] Non devi aver timore di cominciare; siamo tutti qui per mostrarti che il discorso è nell’ordine delle leggi; che da tempo si vigila su quest’apparizione; che un posto gli è stato fatto, che lo onora ma lo disarma; e che, se gli capita d’avere un qualche potere, lo detiene in grazia nostra, e nostra soltanto>>.

“Ma forse quest’istituzione e questo desiderio non sono altro che due risposte opposte ad una stessa inquietudine: inquietudine nei confronti di ciò che il discorso è nella sua materiale realtà di cosa pronunciata o scritta; inquietudine nei confronti di quest’esistenza transitoria, destinata magari a cancellarsi, ma secondo una durata che non ci appartiene; inquietudine nell’avvertire dietro a quest’attività, pur quotidiana e grigia, poteri e pericoli che si immaginano a stento; inquietudine nel sospettare lotte, vittorie, ferite, dominazioni, servitù attraverso tante parole, di cui l’uso ha ridotto da sì gran tempo le asperità.
Ma che c’è dunque di tanto pericoloso nel fatto che la gente parla e che i suoi discorsi proliferano indefinitamente? Dov’è dunque il pericolo”?
(Michel Foucault, L’ordine del discorso)


Probabilmente non era pervaso da timore Martin Luther al momento della pubblicazione delle 95 rivoluzionarie tesi, sul portale della chiesa di Wittemberg in un lontano 1517. Al modesto avviso di un postero del ventunesimo secolo, quello dell’allora monaco agostiniano e futuro fautore della riforma protestante, appare come un inedito tentativo di sconvolgere e scuotere le coscienze di una massa forse troppo avvezza alla sottomissione ad un potere ecclesiale, divenuto quasi esclusivamente temporale. Egli aveva ben compreso, già da allora, ciò che Foucault enuncia ne “L’ordine del discorso”, aveva cioè, intuito l’arcano potere che può celarsi nella giusta combinazione di parole, che portano alla nascita di un discorso incisivo, graffiante, diretto e di grande effetto, atto a stimolare consapevolezze sopite.
Le parole, dunque i discorsi, possono essere sì incisive, da risultare pericolose e taglienti come lame.
Le parole di Martin Luther, risuonano, nell’eco della storia, come le parole di un eretico, di un sovversivo, di un folle. Per intenderla con la duplice valenza che Foucault attribuisce alle parole del folle, queste ultime possono essere percepite come vane, prive di oggettive veridicità o veicolanti messaggi di verità nascoste e negate ai più. E’ proprio quest’ambiguità, questa profonda dicotomia tra queste due condizioni, che incuriosisce e getta le basi per un attento esame di questa enigmatica figura che si colloca in un fantomatico limbo tra realtà e irrazionalità. Le parole del folle rappresentano un vero e proprio spazio nel quale avviene un partage, una divisione (partizione) tra l’equilibrato raziocinio e la frivola follia. Questa partizione stabilisce e legittima un interregno nel quale si fa labile il confine tra lecito ed illecito, sensato ed insensato e che consente di ricercare nel rigore infallibile di un discorso chiaro e preciso, un significato altro, che rappresenti l’aspetto metafisico di tale discorso; si attua, dunque, una compresenza di elementi discordanti, ma in perfetta armonia.
Tuttavia sarebbe errato relegare Martin Luther e le sue azzardate tesi, al rango della pura follia, poiché ad evitarlo è sufficiente l’appartenenza di questo pensiero, per estensione, e di questo discorso scritto, in pratica, ad un ben preciso ed evidente contesto storico che ne conferma la valenza logica e morale, pur vincolandolo alla necessità di verità, propria di ogni discorso, ma fondamentale perché questo sia riconosciuto come vero. Non è, però, abbastanza, ammettere la necessità di verità; bisogna affidarsi ad un sicuro sistema che avvalori questa volontà. Nello specifico, il pensiero di Martin Luther ha trovato terreno fertile nel periodo storico in cui nasceva la stampa a caratteri mobili, che ne ha permesso una rapida e larga diffusione, consentendo una divulgazione su larga scala, nonché una valorizzazione più efficace del testo. Questo è un passaggio fondamentale, senza il quale, probabilmente, non si sarebbe avuta una sì importante conseguenza nella storia dell’ Europa del XVI sec., che si riflette ancor oggi, anche se in minima parte, sulla storia contemporanea. Il fondamentale sostegno del discorso a livello istituzionale, dunque, rappresenta un ulteriore passo avanti verso una sua più completa affermazione, che annullerà ogni tentativo atto a sminuirne il valore, e risulterà, senza dubbio, superiore rispetto ad altri discorsi, privati degli stessi privilegi. Si può, dunque, riconoscere che, a prescindere dall’aderire o meno al contenuto del pensiero esplicitato nelle tesi luterane, vi sia alla loro base un valido principio, illustrato chiaramente da Foucault, che ne garantisce una corretta, esplicita e riconosciuta verità, nonostante, ad onor di cronaca e per stessa ammissione di Martin Luther , il suo pensiero abbia avuto origine in un luogo assai poco consono a tali eletti ideali.

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