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giovedì 11 giugno 2009

Un discorso da psicanalisi

Introduzione

Michel Foucault nel suo saggio “L’ordine del discorso”, letto al Collège de France nel Dicembre del 1970, imputa alla società un controllo sulla produzione del discorso, attuato per scongiurare i poteri e i pericoli che la parola potrebbe comportare. Questo controllo viene organizzato attraverso delle procedure di esclusione: interdetto, partizione e rigetto, e infine opposizione tra vero e falso.Già nelle prime pagine della ricerca di Foucault spicca la teoria psicanalitica come punto di partenza per l’analisi del discorso e della comunità che lo manipola. La nostra società ci “impone” quello che dobbiamo dire, quasi come se ci imponesse una “maschera di discorso”, una maschera che ci rende diversi agli occhi degli altri. Il collegamento a Luigi Pirandello diventa inevitabile.

Una maschera di parole

L’opera di Pirandello s’ispira alla psicanalisi di Freud, anche se a differenza di Svevo non lo ha mai letto. La sua poetica si può riassumere nel relativismo, che corrisponde alla frantumazione dell’io: l’uomo non è una sola persona ma si suddivide in tante. Da ciò deriva che non esistono delle verità e dei valori assoluti, ma ognuno percepisce la realtà non per quello che è ma per come la vede in un determinato momento, a seconda anche della propria educazione (religione, famiglia, ecc.). Quindi il relativismo equivale al dualismo tra vita e forma: la vita è un libero fluire degli istinti umani e la forma è una maschera che la società ci impone. Di maschere ce ne sono due: una attribuita da noi stessi e un’altra che ci viene imposta dalla società, e che c’imprigiona nella trappola delle convenzioni sociali. Il personaggio ha davanti a se solo due strade, o sceglie l’ipocrisia, l’adeguamento passivo alle forme, oppure vive consapevolmente, amaramente e autoironicamente, la scissione tra vita e forma. Nel primo caso è solo una maschera, nel secondo diventa una maschera nuda dolorosamente consapevole degli autoinganni propri e altrui, ma impotente a risolvere la contraddizione che pure individua. In questo caso interviene la riflessione e il personaggio più che vivere, si “guarda vivere”.Secondo Freud nell’uomo esistono tre personalità:
1. Es, che corrisponde all’io inconscio;
2. Io, che corrisponde all’io cosciente e che è il tramite tra Es e il Superio;
3. Superio, che corrisponde alla maschera pirandelliana.
Il saggio di Foucault mette in risalto il discorso come una delle convenzioni sociali in cui siamo imprigionati. Già dalla procedura dell’interdetto, si può constatare come non siamo liberi di dire qualunque cosa in qualsiasi circostanza.Un altro freno al potere della parola viene messo dal principio della partizione e del rigetto, nell’opposizione tra ragione e follia. Questo contrasto cambiò nel corso dei secoli. Nel medioevo la parola del folle veniva completamente rigettata o all’opposto di ogni altro enunciato, le venivano attribuiti strani poteri, come quello di annunciare l’avvenire. Con l’avvento della psicanalisi il ruolo del folle mutò: la sua parola iniziava ad avere effetto, a metterci in agguato. Un altro richiamo alla poetica di Pirandello può dare un valido esempio.

La follia nella parola

Il tema della follia è uno dei più trattati nel Decadentismo, sia come possibilità di fuga dall'opprimente realtà, sia come totale fallimento dell'eterno antieroe che diventa il personaggio fondamentale. Nasce il concetto di male di vivere e il conseguente bisogno di una fuga da esso, attraverso la mente, le illusioni, le esperienze estreme di ogni genere o appunto la pazzia, insieme al suicidio e al vedersi vivere (la vita non la vivo ma la vedo dal di fuori). Proprio quando nasceva il Decadentismo, infatti, nasceva la psicanalisi con Sigmund Freud, il quale indicò come male del ‘900 la nevrosi. Molte opere di Pirandello ruotano su questo fattore, in particolare "Enrico IV", dove il protagonista prima impazzisce, poi tornato normale si trova costretto a fingere di essere ancora pazzo dopo aver constatato che nulla era rimasto della sua gioventù, del suo amore, e che molti lo avevano tradito.La follia, o alienazione mentale, è la condizione nella quale i fatti commessi sono caratterizzati dalla a-normalità, dall'uscire dalle norme che regolano i comportamenti della massa. Solo la follia o la a-normalità assoluta (incomprensibile per la massa) permette al personaggio il contatto vero con la natura (quel mondo esterno alle vicende umane nel quale si può trovare la pace dello spirito) e la possibilità di scoprire che rifiutando il mondo si può scoprire se stessi. Ma questi contatti sono solo momenti passeggeri, spesso irripetibili perché troppo forte il legame con le norme della società. La follia quindi non è concepita tanto come elemento negativo, quanto come elemento fondamentale della condizione umana con la quale fuggire la propria angoscia e il proprio dramma, come estremo rifugio, per potersi salvare dal dramma dell'esistenza. Ai giorni nostri la figura del folle viene vista con occhi diversi, ma non per questo la procedura della partizione può ritenersi cancellata, anzi, essa agisce ancora, ma attraverso nuove istituzioni, “nascosta” in nuove figure, come quelle del medico e dello psicanalista. L’ascolto eserciterà il mantenimento di una cesura, non si baserà su una parola finalmente libera, su una maschera nuda: si parlerà di una partizione mantenuta.

Volontà di verità come costrizione

“L’ordine del discorso” prevede come terza procedura di esclusione la volontà di verità. Mentre Luigi Pirandello, nell’ottica della sua poetica relativista, perde ogni capacità di discriminazione fra verità e falsità, al contrario Foucault, nella differenza tra vero e falso, nella forza convincente della verità, costruisce la sua teoria: nella società di oggi, la volontà di verità, sorretta da un supporto e da una distribuzione istituzionale, tende ad esercitare sugli altri discorsi una sorta di pressione, quasi un potere di costrizione. Fra gli esempi riportati dal filosofo, uno dei più probanti è quello della legge, la cui parola non può essere più autorizzata se non da un discorso di verità. In tutto questo, un problema riguarda la forma del discorso vero, il quale nasconde, fa passare in secondo piano la volontà di verità come prodigioso macchinario destinato ad escludere. Tra i tre sistemi di esclusione, la parola interdetta, la partizione della follia e la volontà di verità, è nel terzo che Foucault mette in luce, rispetto agli altri due, una certa continuità nel rafforzarsi per diventare sempre più profonda ed inaggirabile. Un’opposizione tra vero e falso non più da relativismo pirandelliano, ma un contrasto dove le due forze sono ben delineate, con la volontà di verità come controllo che la nostra società effettua sul discorso.

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