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martedì 9 giugno 2009

LA RICERCA DEL SAPERE E LA METAFORA DELLA BIBLIOTECA DI BABELE

Possiamo concepire un luogo fisico in cui si trova il sapere universale? O, meglio, siamo capaci di pensare che ogni ipotetica conoscenza, anche quella che non abbiamo mai incontrato sul nostro percorso, che appartiene a tutti i popoli esistenti sul nostro pianeta, a tutti quelli che saranno e che sono già esistiti è circoscritta in un edificio?

Peirce riteneva che “ l’ unico modo per comunicare direttamente un’ idea è per mezzo di un’ icona…(da C.P.,p. 2.278), classificando come ipoicone le metafore ci suggerisce che quest’ ultime sono il punto di partenza per iniziare a pensare. Nelle metafore prende corpo il desiderio di scoperta che apre nuovi orizzonti di cui non si intravedono mai le linee di confine, la volontà di sapere e di conoscenza della verità, di rivelazione di tutti i segreti e della risoluzione di tutti i problemi. Riprendiamo la corrente conduttrice del mio pensiero: la metafora letteraria sollecita e stuzzica la nostra mente, dunque, il racconto-fantastico di Jorge Luis Borges sulla biblioteca di Babele non può far altro che stimolare le nostre facoltà intellettive e farci pensare. Introduco ora un nuovo elemento volto a chiarificare: immaginiamo il “pensiero” come una sorgente la cui acqua sgorga incessantemente e disseta e vivifica ogni essere ed ogni cosa, come una sorta di possibilità di ricerca infinita che si materializza in libri.

I libri sono raccolte di pensieri?

Nella biblioteca di Babele ci sono libri…molti libri…tutti i libri che sono stati scritti e quelli che non sono ancora stati pensati, che si succedono uno dietro l’ altro tra gli scaffali, tra le pareti e ci sembra che le risposte alle nostre domande siano in uno di quei libri, in uno di quegli scaffali, in una di quelle pareti. Bisogna fare attenzione. Occorre riconoscere il libro che cerchiamo e distinguerlo dai molteplici volumi che sono stati scritti per decifrarlo, interpretarlo, spiegarlo, illustrarlo, contrariarlo ecc… . Una ricerca affannosa in un labirinto, acqua che scorre e che non si ferma . Ma cosa ci spinge o da cosa ci sentiamo trascinati in questa ricerca di cui possiamo percepire lontana e incerta la conclusione, di compiere quest’ impresa che non sappiamo se termineremo con successo?

Secondo Roland Barthes certo è che proviamo un piacere nella lettura e ci propone di materializzare il piacere del testo e di farne un oggetto di piacere come gli altri, anche se “…è un piacere friabile, scheggiato dall’ umore, l’ abitudine, la circostanza, è un piacere precario…”(da Il piacere del testo). Il brio del testo è però nella volontà di godimento dove il lettore perde il suo io per cercare altro, forse una risposta, forse un senso. Com’ è possibile che ciò che cerchiamo ci scivoli dalle dita? Del resto nella Biblioteca di Babele deve esserci ciò che tanto aneliamo eppure trovarlo non è impresa da poco. Tutti i nostri pensieri, libri, atti comunicativi sono racchiusi in un luogo materiale. La nostra ricerca non è solo cognitiva o addirittura quasi spirituale anzi è anche concreta, fisica e concerne il nostro corpo, i nostri movimenti. Tra le varie combinazioni di caratteri che formano i testi solo una sarà quella giusta.

Ma è utile una biblioteca in cui non si riesce a trovare ciò che si cerca?

Sembrerebbe un forziere prezioso pieno di gioie e, invece, si rivela una tomba. Umberto Eco prende spunto dal racconto di Borges per delineare nel libro “Il nome della rosa” una particolare biblioteca. Scrive: “Il bene di un libro sta nell’ essere letto. Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto. Questa biblioteca è nata forse per salvare i libri che contiene, ma ora vive per seppellirli.” Una biblioteca, dunque, in cui muore il sapere giorno dopo giorno perché i libri che non si trovano non vengono letti e, in definitiva, non esistono. Il sapere, se è possibile, si allontana ancora di più per Foucault che lo individua in una pratica degli uomini, nelle decisioni e nei discorsi. Si possiedono le conoscenze, s’ introducono novità concettuali ma non si arriverà a possedere il principio di regolarità né le condizioni di trasformazione del sapere. Sembra che la ricerca del sapere sia infinita come i pensieri che si esprimono nei libri, perché mai poi darci un confine? Il piacere di un viaggio non risiede nell’ arrivo alla meta, dunque, continuiamo a pensare… .
Quest’ ultimo atto comunicativo sarà già scritto nella biblioteca di Babele?


Cristina Guido Rizzo

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