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mercoledì 10 giugno 2009

Alcune riflessioni sul Discorso secondo Micheal Faucult

In una società come quella attuale si conoscono, naturalmente, le procedure di esclusione. La più evidente e familiare è senza dubbio quella dell’interdetto. Come si sa nessuno di noi ha il diritto di parlare di tutto in qualsiasi circostanza, chiunque non può parlare di qualunque cosa. A proposito dell’interdetto, qui abbiamo tre tipi di esso che si incrociano, si rafforzano, o si compensano, formando così un complesso reticolo il quale non cessa di modificarsi. Al giorno d’oggi, le regioni in cui maggiormente si moltiplica il reticolo sono quelle della sessualità e della politica: come se il discorso fosse uno dei siti dove esse esercitano, in maniera privilegiata, alcuni dei loro temibili poteri. Gli interdetti che colpiscono il discorso, però, rivelano molto rapidamente il legame che hanno con il desiderio e con il potere. Non dobbiamo sorprenderci di ciò perché il discorso, come ci mostra la psicanalisi, non è semplicemente ciò che manifesta o nasconde il desiderio; e non è altrettanto (come la storia ci insegna) semplicemente ciò che traduce le lotte e i sistemi di dominazione, invece è ciò per cui, attraverso cui, si lotta, ovvero si cerca sempre di impadronirsi di qualche potere. Il discorso è nell’ordine delle leggi. Dobbiamo dire inoltre che esiste un altro principio di esclusione: non più un interdetto, ma una partizione e un rigetto. Possiamo pensare all’opposizione fra RAGIONE e FOLLIA. Il folle: in epoca Medievale, i discorsi di questo grottesco personaggio non potevano circolare come quelli degli altri, o la sua parola cadeva nel NULLA stesso, o veniva rigettata non appena proferita. E’ curioso il fatto che nessun medico, prima del XVIII secolo, ha mai avuto l’idea di scavare in fondo alla mentalità del folle e scoprire il vero significato delle sue parole. Ipotizzando quindi che occorra sul serio il silenzio della ragione per guarire “mostri” come i folli, basta che il silenzio sia in allarme: ecco la partizione giusta. Nei poeti greci del VI secolo, il discorso vero è quello pronunciato da chi di diritto e secondo rituale richiesto (intendiamo questa parola nel senso forte del termine), un discorso il quale non solo profetizza ciò che dovrebbe accadere, ma che nello stesso tempo comincia a mettere in pratica le parole dette. Infatti, un secolo più tardi, la più alta verità risiede in ciò che il discorso dice: la verità si sposta verso il suo stesso enunciato e verso il suo rapporto con la referenza.

Ma andiamo oltre. Esistono altre procedure di delimitazione e controllo del discorso: procedure che funzionano come principi di classificazione, ordinamento, distribuzione, come se si trattasse di padroneggiare una nuova dimensione del discorso. Analizziamo ad esempio il commento, non dovrebbero esserci società dove non esistano narrazioni le quali si raccontano, si ripetono o si fanno variare: testi, discorsi che si recitano seguendo un rituale ecc. Noi sospettiamo che ci sia una sorta di dislivello all’interno delle società: vengono intrapresi una serie di discorsi i quali ci fanno pensare essere detti, restano detti, e sono ancora da dire, per noi questi testi sono testi giuridici e religiosi, o anche testi scientifici. Il radicale annullamento di questo dislivello può essere soltanto gioco, utopia e angoscia. Vi è un altro principio di rarefazione del discorso: quello dell’AUTORE. Ovviamente consideriamo costui non come l’individuo parlante il quale ha enunciato o messo per iscritto un testo, ma come principio di raggruppamento dei discorsi, unità, origine dei loro significati e fulcro della loro coerenza. Questo principio non opera ovunque, perché, intorno a noi, esistono vari tipi di discorsi che vengono proferiti senza che essi abbiano un autore, anzi, nel nostro parlare quotidiano si può dire che gli autori siamo noi stessi. O anche ad esempio un semplice contratto, il quale non ha un autore, ma che ha bisogno solo di una firma affinché abbia validità. Ma non dimentichiamo i campi in cui l’autore è REGOLA: letteratura; filosofia; scienza. Nel Medioevo, per l’appunto, la citazione all’autore nel testo pubblicato era indice di verità. Dal XVII secolo questa funzione non ha cessato di venir meno, ad esempio nel discorso scientifico l’autore serve soltanto a dare il nome ad un teorema e ad altre formule pratiche. Nel campo letterario, in compenso, la funzione dell’autore si è potenziata: in tutti i drammi e opere che nel Medioevo venivano scritte, l’autore era il punto centrale a cui fare riferimento. E c’è di più: si arrivò alla conclusione che l’autore, prima di pubblicare un qualsiasi testo, doveva inserire una INTRODUZIONE nelle pagine precedenti al testo. Tutto ciò per introdurre il lettore ad una lettura più comprensibile rispetto al velo di mistero che di per se il testo mostra. Avendo enunciato alcune delle tante riflessioni di Micheal Faucault sul discorso, concludiamo col rammentare che la sua intenzione era quella di analizzare le varie forme in cui in ogni società, la produzione del discorso è contemporaneamente controllata e selezionata, in modo tale che pericoli e poteri vengano scongiurati. In parole povere, Foucault vuole padroneggiare questa produzione.

“L’autore è ciò che da all’inquietante linguaggio della finzione le unità, i nodi di coerenza, l’inserzione nel reale” - Michel Foucault

2 commenti:

  1. Caro Francesco,

    NON presentarti all'esame prima di aver corretto questo testo e aggiunto almeno 10 righe che valgano il nome di riflessioni.

    Un caro saluto
    DG

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  2. Esimio Professore,

    Quali sono esattamente le parti che dovrei

    correggere? Oppure forse converrebbe riscrivere

    tutto il testo da capo?

    Distinti Saluti

    Francesco Sarri

    RispondiElimina