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mercoledì 10 giugno 2009

La follia e il potere del discorso






In ogni società la produzione del discorso è organizzata e distribuita attraverso un certo numero di procedure che hanno la funzione di scongiurarne i poteri e i pericoli. Questo è quello che si propone di far venire alla luce Michel Foucault nel grande manifesto teorico “L’ordine del discorso”.
Fondamentali sono le procedure d’esclusione, tra le quali la più evidente è quella dell’interdetto. Non si ha il diritto di dire tutto in qualsiasi circostanza e questo principio emerge chiaramente nell’ opposizione tra ragione e follia. Il discorso non è solo modello “della guerra e della battaglia”, ma esiste questa altra dimensione. Folle è colui il cui discorso non può circolare come quello degli altri. Per secoli la parola del folle è stata considerata come un non senso, come qualcosa che non veniva ascoltata o veniva rigettata nel nulla non appena proferita. Sembra che oggi tutto questo sia finito, che non esista questa separazione tra la parola del folle e quella degli altri. Tuttavia basta poco per scoprire che non è così: è necessario che la parola dei “mostri” sia in allarme. Bisognerebbe penetrare nel fondo della questione, cercare di capire in che modo i folli sono riconosciuti, scartati ed esclusi dalla società: non si tratta di altro che andare ad esplorare il sapere investito all’interno di sistemi complessi di istituzioni.
Per trattare la follia occorre prendere in esame la medicina clinica che sembra aver dato i suoi frutti per quanto riguarda la molteplicità di tali campi di sapere, occupandosi in primo luogo della nevrosi. E’ mediante questi metodi che la storia del pensiero si è potuta affiancare ad uno stile interpretativo e impressionista, nonché ad una tecnologia dimostrativa della verità.
La nevrosi è un ripiego rispetto all’ “impossibile” di cui parla anche Bataille, tuttavia da un’altra parte questo ripiego è il solo che consente di scrivere. Si ha così un paradosso: i testi come quelli di Bataille che sono scritti contro la nevrosi, dal di dentro della follia, hanno in sé quel pizzico di nevrosi necessaria alla seduzione del lettore. Ogni scrittore dirà quindi: “Folle non posso, sano non degno, nevrotico sono”.
Vi può essere identità tra godimento e paura. Quello che ripugna di tale accostamento è l’idea che la paura sia un sentimento mediocremente indegno. La paura è rifiutata dalla follia e anche dalla filosofia; se non fosse per Hobbes che in riferimento alla paura dice: “La sola passione della mia vita è stata la paura”. La paura è diversa dalla follia; essa è una sorta di follia nel pieno della coscienza ed è distinta anche dall’angoscia. Ecco perché la paura è più vicina al godimento che alla follia: essa è “clandestinità assoluta”, perché non ha a sua disposizione che dei significati conformi.
Il linguaggio delirante è rifiutato da chi sente salire in sé la paura. Bataille diceva: “Scrivo per non essere folle”; ma si potrebbe dire “Scrivo per non avere paura”? La paura e la scrittura sono due cose separate; la scrittura non scaccia la paura.
Da questa analisi della follia emerge l’importanza del pensiero Foucaultiano: niente è più pericoloso del potere del discorso, se con esso si intende imporre il “silenzio della servitù”, ovvero di quelle persone considerate inferiori e accantonate in un angolo di un mondo perverso.

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