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domenica 14 giugno 2009

ECO-BORGES : IL FASCINO DELLE BIBLIOTECHE

“Il nome della rosa”, romanzo pubblicato da Umberto Eco nel 1980, sembra avere come tema predominante la “parola”. Basti leggere il primo rigo del romanzo: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il verbo era Dio”. Si tratta in un certo senso di un elemento ricorrente che sembra già essere annunciato anche dalla presenza del termine nome nel titolo stesso del romanzo.

Ma che ruolo ha la parola nel romanzo conosciuto e ammirato in molti paesi del mondo? La risposta è chiara. “Il nome della rosa” appare come una delle più alte analisi filosofiche della parola stessa, della sua forza e dei suoi limiti, dell’uso positivo o negativo che se ne possa fare. A tal proposito sorge spontaneo il collegamento con uno dei temi trattati da Michel Foucault ne “L’ordine del discorso”: il tema dell’ interdetto. Quest’ultimo non è altro che la prima procedura di esclusione del discorso. E’ chiaro che in una società come la nostra non si ha il diritto di dire tutto, di dire ogni cosa e in ogni situazione, chiunque non è padrone di pronunciare qualsiasi parola e tutto ciò non può che rappresentare un limite.

Per essere un po’ più precisi, occorre chiarire un punto: cos’è per Foucault il discorso?
Esso non è un qualcosa di meramente fenomenico o celato; esso è “ciò per cui, attraverso cui, si lotta, il potere di cui si cerca di impadronirsi”.

Ma torniamo nuovamente al romanzo preso in questione all’inizio di questa breve relazione. Un altro suo elemento caratterizzante, probabilmente il più importante considerando che si tratta di uno dei luoghi principali in cui è ambientato il racconto, è l’antica biblioteca medioevale. In essa avviene certamente una delle più ricche celebrazioni della parola scritta. Contenuta in un edificio di mole gigantesca, la biblioteca è stata arricchita con i testi che padre Jorge de Burgos, monaco fanatico e responsabile della catena di omicidi avvenuti nella biblioteca, ha portato con sé dalla penisola iberica.

“La biblioteca è un gran labirinto, segno del labirinto del mondo. Entri e non sai se ne uscirai.” E’ infatti possibile percepire come ogni stanza della biblioteca descritta da Eco corrisponda ai diversi paesi e alle diverse regioni del mondo, quasi si trattasse di una sua riproduzione in scala.

“Il nome della rosa” prova ad essere in un certo senso il libro dei libri, capace di attraversare passato, presente ed anche futuro (si ricordi che la biblioteca descritta da Eco non è una biblioteca moderna. Si tratta di un labirinto-biblioteca del trecento circa che però possiede una conformazione architettonica tale da risultare del tutto inadatta all’epoca medioevale).

A questo punto, dopo aver menzionato due parole chiave come labirinto e biblioteca, come possiamo non pensare al testo pubblicato inizialmente nel 1941 e successivamente nel 1944 da Jorge Luis Borges, “La Biblioteca di Babele”? Ne "La biblioteca di Babele", Borges descrive una biblioteca che non è altro che la rappresentazione architettonica dell’universo. Essa è composta da un numero indefinito di gallerie esagonali caratterizzate dalla presenza nel centro di ampi pozzi di ventilazione; Da ogni esagono è possibile scorgere piani superiori e inferiori che sembrano non aver fine (forse sono davvero sconfinati). “A ciascuna parete di ciascun esagono corrispondono cinque scaffali; ciascuno scaffale contiene trentadue libri di formato uniforme; ciascun libro è di quattrocentodieci pagine; ciascuna pagina, di quaranta righe; ciascuna riga, quaranta lettere di colore nero. Vi sono anche delle lettere sulla costola di ciascun libro; non, però, che indichino o prefigurino ciò che diranno le pagine.”

Molti hanno considerato la biblioteca descritta da Borges una semplice depositaria delle più varie informazioni. E allora come fare a convincere chi ha per tanto tempo valutato in tal modo (errato) l’illimitata e periodica biblioteca? Forse semplicemente chiarendo che la biblioteca contiene ogni genere di testo, ogni tipo di frase, ogni tipo di combinazione di lettere (selezionando e scegliendo di volta in volta una differente lettera dell’alfabeto) e dunque ogni tipo di verità o falsità che possa essere scritta e raccontata. A questo proposito si potrebbe analizzare brevemente l’idea di un meccanismo generativo del linguaggio capace proprio di creare frasi corrette (vere o false che siano). Questo tipo di meccanismo ricorda quello elaborato intorno al 1956 dallo statunitense Avram Noam Chomsky, sostenitore di una particolare capacità della mente: quella di selezionare ed escogitare espressioni sempre nuove che vengono tratte dal confuso e infinito repertorio di combinazioni linguistiche.

Per concludere, possiamo notare un curioso elemento che sembra avvicinare lo scrittore argentino più volte menzionato al testo di Umberto Eco. Per capirci meglio, basti leggere ad alta voce il nome del monaco fanatico presentato da Eco, Jorge de Burgos e il nome stesso dello scrittore argentino, Jorge Luis Borges. Il nome del monaco sembra richiamare da un punto di vista fonico quello dello scrittore.

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