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mercoledì 16 settembre 2009

Storia della follia


Dopo aver dato uno sguardo agli scritti in questo blog mi sono soffermato su un tema che mi ha colpito principalmente: la follia, dato che tale tema è trattato da numerosi secoli e che ancora oggi al nostro millennio lascia numerosi dubbi e dilemmi mai colmati riguardo la controversia della figura del folle. A questo punto ne ho preso spunto partendo con un resoconto de “L’ordine del discorso”,testo tra l’altro della lezione inaugurale di Michel Foucault presentato al Collège de France nel 1970.

Storia della follia nell'età classica è stata la tesi di dottorato e la prima opera importante dello storico e filosofo francese Michel Foucault (1926-1984), il cui titolo originale era “Folie et déraison” e pubblicato nel 1961.

Lo scritto contiene uno studio svolto dall'autore sugli sviluppi dell'idea della follia nella storia. Focault prende iniziativa da un analisi dei lebbrosari del Medioevo e di come gli affetti del morbo di Hansen venissero ghettizzati nella società del XV secolo. Questo porta a chiedersi cosa fossero diventati i lebbrosari quando la malattia era svanita, a tal punto traccia un’idea della storia della malattia del tempo. Per Focault il folle dal profondo del Medioevo è colui il cui discorso non può circolare come quello degli altri e capita spesso che”la sua parola sia considerata come nulla e senza effetto , non avendo né verità né importanza, ma al contrario , in compenso, le vengono attribuite anche strane capacità nascoste, quali la possibilità di annunciare l’avvenire, quello di vedere del tutto ingenuamente quel che la saggezza degli altri non può scorgere”. Appunto possiamo constatare che per numerosi secoli in Europa abbastanza sorprendentemente la parola del folle o non era intesa, altrimenti se lo era veniva ascoltata come fonte di verità. Intanto in questo periodo vi vengono allestiti anche alcuni luoghi riservati esclusivamente ai soli “pazzi” con alcune suddivisioni che potremmo definire interessanti fra varie specie di malattie; infatti l'Hotel Dieu accoglieva solo alienati mentre al contrario il Bethlem Royal Hospital a Londra accoglieva solo lunatici.

L’epoca della reclusione segna una migrazione della follia verso la regione dell’insensato; la follia è chiusa nell’universo delle interdizioni di linguaggio; la reclusione classica racchiude con la follia, il libertinaggio di pensiero e di parola, la bestemmia, la stregoneria, l’alchimia ; in pratica tutto ciò che caratterizza il mondo parlato e interdetto della “non ragione”; la follia è un linguaggio escluso - quello che contro il codice della lingua pronuncia parole senza significato (vedi gli “insensati” i “dementi”) o quello che pronuncia parole sacralizzate (“violenti” o “iracondi”) o ancora se vogliamo quello che fa passare significati interdetti (i “libertini”, i “testardi”).

L’internamento emblema dell’Età Classica si configura particolarmente come punizione etica, così come nell’orizzonte etico si pone l’intera problematica della follia. Non ci si deve stupire dell’indifferenza che nel XVII secolo viene opposta alla separazione di follia e colpa, di alienazione e malvagità. Essa non deriva da un sapere insufficiente, ma da un’equivalenza decisa lucidamente: follia e delitto non si escludono, ma si implicano l’un l’altro.

Nel mondo dell’internamento la follia non spiega e non scusa niente; essa entra in complicità col male per moltiplicarlo, per renderlo più insistente e pericoloso, per prestargli nuovi volti. La follia che non intende esserlo o la semplice intenzione senza follia hanno lo stesso trattamento, forse perché hanno oscuramente la stessa origine: il male o perlomeno una volontà perversa.

E allora si arriva al ‘900, con Sigmund Freud, quando l’esperienza della follia si è spostata verso l’ultima forma di interdizione del linguaggio. Ha cessato allora di essere errore di linguaggio, bestemmia proferita, o significato intollerabile (e in questo senso la psicanalisi è veramente la grande rimozione delle interdizioni, come diceva lo stesso Freud) è apparsa come una parola che si avvolge su se stessa, dicendo, al di sotto di ciò che dice, altre cose delle quali è al tempo stesso il solo codice possibile: linguaggio esoterico, se si vuole, poiché trattiene la sua lingua all’interno di una parola che alla fin fine non dice altre cose che questa implicazione.

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