Modalità esami per l'appello straordinario di dicembre

il limite di battute dei post è di 8000
il termine ultimo per postare sarà lunedì 7 dicembre

sabato 19 settembre 2009

Le plaisir du texte

Roland Barthes, autore de “Le plaisir du texte ”(titolo italianizzato in “Il piacere del testo”), afferma l’esistenza di una scienza dei godimenti del linguaggio, cioè la scrittura, però prima di tutto è necessario rivelare una differenza fra godimento e piacere. Il piacere è un appagamento, mentre il godimento è come una sorta di mancamento, perdita. Se si giudica un testo secondo il piacere, non si può dire che esso sia buono o cattivo, non è possibile fare nessuna critica e nessuna graduatoria, in quanto il “per me” non è né soggettivo né essistenziale, bensì è nietzschiano. Un testo non è mai un dialogo, quindi non vi sono rischi di possibili aggressioni, ricatti; esso istituisce solamente una specie di isola, fa vedere la natura asociale del piacere e intravedere la verità scandalosa del godimento. Dietro ad un testo non sono presenti figure passive (i lettori) e figure attive (gli scrittori), e tanto meno un soggetto e un oggetto. Il testo ha una forma umana, è una parte del nostro corpo erotico. Esso ci sceglie, ci desidera, attraverso una serie di schemi invisibili (come per esempio il vocabolario, la leggibilità, ecc.) e ci comunica una stato calmo ed escluso. In mezzo ad esso è sempre presente l’autore, desidero la sua presenza ed ho bisogno della sua figura. Il piacere non è un elemento del testo, ma è una deriva, cioè un qualcosa di rivoluzionario e asociale che non può essere adottato da nessuna collettività. E’ scandaloso in quanto è atopico, non perché è immorale. Il piacere del testo è scandaloso e atopico, non è una parlata, una finzione. Tutti i testi che scrivo devono desiderarmi, devono darmi la prova di desiderarmi ed essa è la scrittura, quella scienza dei godimenti del linguaggio, il suo kamasutra. Però si ricordi che un francese su due non legge e quindi privandosi della lettura non solo rinuncia a quei canoni del bello ideale e della perfezione espressi dalle civiltà greco-romane, ma in particolar modo si priva del piacere.

“Se fosse possibile immaginare un’estetica del piacere testuale, bisognerebbe includervi: la scrittura ad alta voce” (Roland Barthes, Il piacere del testo, p. 65).

“La scrittura ad alta voce non è espressiva; è portata non dalle inflessioni drammatiche, le intonazioni maligne, gli accenti compiacenti, ma dalla grana della voce, che è un misto erotico di timbro e di linguaggio, e che può quindi essere anch’essa, al pari della dizione, la materia di un’arte: l’arte di condurre il proprio corpo” (ivi, p. 65).

La scrittura ad alta voce non è fonologica, ma fonetica e il suo obiettivo è ovviamente il linguaggio, un testo in cui si ha la possibilità di sentire la grana della voce con tutta la sensualità delle consonati e della vocali.Bisogna far si che si senta il respiro, che si veda il movimento sontuoso delle labbra al fine che la voce e la scrittura siano fresche. Per Barthes “la voce, la corporeità del parlare, si situa nell’articolazione del corpo e del discorso”. Il compito della voce è quello di fare da tramite, da snodo, fra corpo e parola. Ogni rapporto con la voce è necessariamente amoroso, perché non esiste scienza che possa esaurire la nostra voce. La grana della voce è quella qualità indefinibile che rende ogni voce unica perché porta traccia del corpo che la produce, del nostro vissuto. Le parole devono essere pronunciate e soprattutto intese, ascoltate, fatte passare attraverso l’orecchio.
Nell’antichità la retorica comprendeva una parte dimenticata: l’actio, considerato il fattore dominante nell’efficacia espressiva dell’oratore. Cicerone, nel mondo della latinità, è il più grande teorico dell’arte del dire. I fini dell’oratoria, sono il probare, il delectare e il flectere, per cui si prefigura quella finalità della ricerca della persuasione e del consenso che può anche essere, da un punto di vista sociale e politico, intesa come vero e proprio strumento di dominio, cioè come la tecnica della manipolazione del consenso e della persuasione. La retorica compie due operzioni passando per la mente e per l’animo dell’uditore: convincere (fidem facere) e commuovere (animun movere). Infatti con il probare l’oratore tende a dimostrare la verità delle sue tesi, tende insomma a convincere chi lo ascolta, e il mezzo comunicativo più adatto a compiere tale operazione è l’adozione di uno stile sobrio, piano, dimesso e discorsivo. Il delectare, invece, è finalizzato al diletto per cui l’oratore tende ad affascinare l’uditore con messaggi estetici per produrre conivolgimento e quindi consenso. Per tale motivo l’oratore tende ad usare uno stile ornato, cioè ricco di figure retoriche. Con il flectere, infine, l’oratore tende a piegare gli animi suscitando negli uditori forti emozioni usando uno stile sublime, patetico, coinvolgente e accattivante. Inoltre un oratore, oltre ad avere in possesso tali stili e saperli usare nel modo appropriato, deve essere in possesso di una larga cultura. Cicerone era maestro nell’arte del modulare il tono della voce e nel variare i gesti, i quali sembravano spontanei, ma che invece erano stati studiati meticolosamente.
Elvira Sacchetti

Nessun commento:

Posta un commento