“Se fosse possibile immaginare un’estetica del piacere testuale, bisognerebbe includervi: la scrittura ad alta voce” (Roland Barthes, Il piacere del testo, p. 65).
“La scrittura ad alta voce non è espressiva; è portata non dalle inflessioni drammatiche, le intonazioni maligne, gli accenti compiacenti, ma dalla grana della voce, che è un misto erotico di timbro e di linguaggio, e che può quindi essere anch’essa, al pari della dizione, la materia di un’arte: l’arte di condurre il proprio corpo” (ivi, p. 65).
La scrittura ad alta voce non è fonologica, ma fonetica e il suo obiettivo è ovviamente il linguaggio, un testo in cui si ha la possibilità di sentire la grana della voce con tutta la sensualità delle consonati e della vocali.Bisogna far si che si senta il respiro, che si veda il movimento sontuoso delle labbra al fine che la voce e la scrittura siano fresche. Per Barthes “la voce, la corporeità del parlare, si situa nell’articolazione del corpo e del discorso”. Il compito della voce è quello di fare da tramite, da snodo, fra corpo e parola. Ogni rapporto con la voce è necessariamente amoroso, perché non esiste scienza che possa esaurire la nostra voce. La grana della voce è quella qualità indefinibile che rende ogni voce unica perché porta traccia del corpo che la produce, del nostro vissuto. Le parole devono essere pronunciate e soprattutto intese, ascoltate, fatte passare attraverso l’orecchio.
Nell’antichità la retorica comprendeva una parte dimenticata: l’actio, considerato il fattore dominante nell’efficacia espressiva dell’oratore. Cicerone, nel mondo della latinità, è il più grande teorico dell’arte del dire. I fini dell’oratoria, sono il probare, il delectare e il flectere, per cui si prefigura quella finalità della ricerca della persuasione e del consenso che può anche essere, da un punto di vista sociale e politico, intesa come vero e proprio strumento di dominio, cioè come la tecnica della manipolazione del consenso e della persuasione. La retorica compie due operzioni passando per la mente e per l’animo dell’uditore: convincere (fidem facere) e commuovere (animun movere). Infatti con il probare l’oratore tende a dimostrare la verità delle sue tesi, tende insomma a convincere chi lo ascolta, e il mezzo comunicativo più adatto a compiere tale operazione è l’adozione di uno stile sobrio, piano, dimesso e discorsivo. Il delectare, invece, è finalizzato al diletto per cui l’oratore tende ad affascinare l’uditore con messaggi estetici per produrre conivolgimento e quindi consenso. Per tale motivo l’oratore tende ad usare uno stile ornato, cioè ricco di figure retoriche. Con il flectere, infine, l’oratore tende a piegare gli animi suscitando negli uditori forti emozioni usando uno stile sublime, patetico, coinvolgente e accattivante. Inoltre un oratore, oltre ad avere in possesso tali stili e saperli usare nel modo appropriato, deve essere in possesso di una larga cultura. Cicerone era maestro nell’arte del modulare il tono della voce e nel variare i gesti, i quali sembravano spontanei, ma che invece erano stati studiati meticolosamente.
Elvira Sacchetti
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