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domenica 20 settembre 2009

L'Interdetto nella società familiare

Ne ”L’ordine del discorso”, testo della lezione inaugurale al Collège de France letta il 2 dicembre 1970, Michel Foucault riconosce al discorso una sua realtà materiale considerandolo pervaso da poteri e pericoli che non si possono cogliere istintivamente.
La tesi di Foucault rende espliciti i meccanismi di controllo, selezione, organizzazione e distribuzione della produzione del discorso presenti in ogni società. Questo avviene tramite certe procedure che depotenziano la materialità del discorso e che riguardano il desiderio ed il potere.

Tra le procedure di esclusione la prima è quella dell’interdetto.
Tabù rituali, diritto di parlare o meno di qualcosa, esclusività di esporre un argomento: sono questi i tipi d’interdetto che rendono il discorso non accessibile a chiunque ed ovunque. Questo perché il discorso non è solo manifestazione (o negazione) di un desiderio, ma è elemento di lotta nel gioco di forze contrapposte, ovvero nelle dinamiche del potere. Esso stesso è un potere (esempi posti da Foucault: regioni della sessualità e della politica).


Altra procedura d’esclusione è la partizione e/o rigetto della follia.
“E’ curioso constatare come per secoli in Europa la parola del folle o non era intesa, oppure, se lo era, veniva ascoltata come una parola di verità” (pag. 11). Anche oggi, per Foucault, esistono meccanismi di partizione, che però sono azionati in virtù di nuove istituzioni, con nuovi effetti.


Un terzo livello è quello del vero contro il falso.
Vero e falso sono concetti contingenti alla storia, in continuo movimento, sorretti da istituzioni che usano anche la coercizione per imporre la “verità” accettabile. Non è nel livello della proposizione dove Foucault situa la partizione vero/falso, ma su una scala più ampia, quella che considera la volontà di verità degli uomini lungo il corso della storia. Storicamente, per esempio, Foucault cita la Grecia del VI secolo, dove il discorso era vero se era pronunciato dalla autorità legittimata secondo una ritualizzazione canonica; un secolo dopo il discorso era vero in base a quel che effettivamente diceva. E’ la volontà di sapere che muta, e che pone l’osservatore da una prospettiva che deve soddisfare dei canoni di veridicità.
Parlando della “nostra” società, Foucault dice: “..Questa volontà di verità, come gli altri sistemi d’esclusione, poggia su di un supporto istituzionale: essa è rinforzata, e riconfermata insieme, da tutto uno spessore di pratiche come la pedagogia, certo, come il sistema dei libri..” (pag. 15).
Ciò che conta, quindi, è come la società valorizza, distribuisce e attribuisce il sapere (e la verità). Il discorso della verità, la volontà di verità, istituzionalmente sanzionata, preme sugli altri discorsi, perché parola del potere.

In sintesi Foucault ritiene che in ogni società la produzione del discorso è controllata,selezionata e organizzata in modo da scongiurarne i pericoli e i poteri. Riflettendoci su, ci renderemo presto conto che questo stesso discorso può essere vero anche all’interno di una società un po’ particolare : la famiglia.
In fondo essa altro non è che una “piccola società” che tende ad assicurare l’armonico sviluppo dei suoi membri. Come ogni società, è costituita da un piccolo gruppo di persone con alcune caratteristiche specifiche, essa è (o dovrebbe essere):

· il luogo primario della crescita e dell'educazione (crescita sana e responsabile)

· il luogo delle relazioni affettive e delle modalità di comunicazione

· il luogo di mediazione sociale dell'individuo nei confronti della comunità sociale più allargata.

Spesso però il nucleo familiare non corrisponde propriamente a questa descrizione. In particolare, la riflessione sull’interdetto di cui parla Foucault , può trovare consistenza piena in riferimento ad un fenomeno antico che solo da poco è uscito dall’ombra: la violenza in famiglia.


Drammi quotidiani si consumano nel silenzio delle pareti domestiche. Pareti che dovrebbero avvolgere la nostra intimità in un abbraccio affettivo che protegge e rassicura da ogni minaccia esterna. Succede, invece, più spesso di quanto si possa pensare, che l’inferno si nasconda proprio fra queste mura.
La violenza famigliare è senz’altro un fenomeno che per molto tempo è stato sottaciuto con la complicità delle tradizioni culturali o, per meglio dire, di quella disuguaglianza "biologica" fra i sessi che pone la donna in subalternità rispetto all’uomo. Stiamo parlando di una cultura patriarcale che sopravvive nel presente negando alle donne la completa indipendenza. Tant’è che ancor oggi certi "uomini padroni" non accettano che la propria compagna, o moglie che sia, tagli i lacci del loro potere e controllo. Insomma, la libertà femminile è considerata un oltraggio insopportabile. Una ferita che svilisce e fa scattare la molla delle aggressioni.


Gli autori di questi maltrattamenti non sono necessariamente drogati,emarginati o alcolizzati; sarebbe forse più semplice attribuire le cause ad un contesto di disagio psichico, ma la verità è che nella maggioranza dei casi si tratta di soggetti appartenenti a quella categoria di persone ”per bene”, verso cui si ripone fiducia, talvolta dalla carriera brillante e con tanto di ruolo rispettabile nella società. Insomma tipi mansueti, saggi ed educati, che di certo a parole condannano la violenza. Eppure la considerano legittima quando si scatena con furia incontrollata e per banali motivi sulla moglie, convivente o ex partner. Magari con i figli, anch’essi vittime o spettatori.
Non è semplice uscire da questa spirale di violenza che fa a pezzi la personalità della donna e la fa naufragare in una quotidianità dolorosa e traumatica. Molte vittime, infatti, anziché prendere in mano le redini della propria vita, rimangono intrappolate in questa ragnatela, magari auto-colpevolizzandosi.


La paura è la prima reazione a questo tipo di problema. Il timore di non essere capite o addirittura credute porta le donne a rinchiudersi in se stesse. Non dimentichiamo che, per molto tempo, le donne non hanno trovato il coraggio di uscire allo scoperto su queste angherie per via di quel fardello di "virtù femminili" che si attribuivano al gentil sesso come la "naturale" capacità di sopportazione. Così lo spettro della vergogna e del senso di colpa continua ad aleggiare nel mondo femminile che si svincola dall’autorità maschile.
Quindi, poche trovano la forza di denunciare questi drammi e, quando lo fanno, in pochissimi dei casi si arriva ad una condanna dell’autore della violenza. Per non parlare del fatto che, se la donna non ha un adeguato sistema di protezione attorno a sé, la denuncia può scatenare un aumento delle aggressioni mettendo a rischio la sua vita.
Dunque, "scaricare" il compagno non è affatto semplice. Tant’è che le vittime che si recano nei centri nati per essere loro d’aiuto, pur sottoposte a ripetuti soprusi, difficilmente si presentano con la valigia in mano, mentre quasi tutte hanno come conseguenza un equilibrio psicologico davvero frantumato che frena la loro capacità di intravedere possibili soluzioni.


Ecco perché la maggior parte di loro vede come unica possibilità il lungo e sofferente sentiero del taciuto o, per dirlo con le parole di Foucault, il terreno dell’interdetto.

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