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sabato 19 settembre 2009

La follia...quel mistero oltre la ragione.

Riflettere sulla follia vuol dire riflettere sulla nozione di identità, su come percepiamo le cose, su che cos'è la realtà.
La follia non è solo disagio o malattia: con le sue categorie, ci provoca e interroga la nostra visione del mondo. Dire che cosa sia realmente la follia è un'impresa abbastanza ardua, eppure in tanti hanno provato a dare un valido significato e questo termine.
Nel passato come nel presente, la follia si è manifestata in tanti suoi piccoli aspetti: attraverso il genio degli scienziati, i versi dei poeti, le melodie dei musicisti, i colori vivaci sulle tele degli artisti, le gesta inconsulte dei potenti.
Ma oggi il termine "follia" ha un significato più comune per indicare semplicemente chi si ribella all'ordine della vita sociale per dar sfogo alle passioni, ai sentimenti, all'istinto, alla pura irrazionalità. Questo termine è entrato dunque a far parte dei linguaggio corrente e non può più essere tenuto al di fuori dei mondo reale come manifestazione della diversità, come un nemico che minaccia l'identità di ognuno.Dalla realtà dei giorni nostri si può evincere come l'uomo sia nato dall'incontro tra la verità e la follia e di come il mondo corra instancabilmente verso qualcosa che non c'è, mosso dallo sfrenato desiderio di potere, di conquista e di vittoria.

“Dal profondo del Medioevo il folle è colui il cui discorso non può circolare come quello degli altri,capita che la sua parola sia considerata come nulla e senza effetto,non avendo né verità né importanza… (“Dall ’ordine del discorso”)

Con queste parole, pronunciate nel 1970 al college de France, Foucault spiegava una delle procedure d’ esclusione del discorso: il partage (partizione e rigetto della follia) ovvero l’opposizione tra ragione e follia.

“E’ curioso constatare come per secoli in Europa la parola del folle o non era intesa, oppure, se lo era, veniva ascoltata come una parola di verità’ .(”Dall’ ordine del discorso”).

Le parole del folle erano, e sono la manifestazione della sua follia, il luogo in cui si compiva la partizione tra la sensatezza e l’insensatezza. Anche oggi, per Foucault, esistono meccanismi di partizione, che però sono azionati in virtù di nuove istituzioni, con nuovi effetti. Il folle lo si ascolta e decifra tramite una rete di psicologi, psicoanalisti e medici (“armatura del sapere”) in luoghi sanzionati, quali gli ospedali psichiatrici.
Michel Foucault, nato nel 1926 a Poitiers, studiò filosofia e psicologia all'Ecole Normale Supèrieure di Parigi .In seguito lavorò presso istituti culturali francesi e nel 1970 ricevette la nomina di professore di storia dei sistemi di pensiero al Collège de France. Morì a Parigi nel 1984. Gli interessi di Foucault, in principio, si concentrano sull'epistemologia: il suo problema sta nell'individuare le condizioni storiche in base alle quali la malattia e la follia si sono costituite come oggetti di scienza, dando luogo alla psicopatologia e alla medicina clinica, strettamente connesse alla costruzione di luoghi chiusi (la clinica e il manicomio) in cui si instaura un rapporto di dominio tra medico e paziente. E questi sono proprio i temi che Foucault affronta nelle sue prime opere di successo, Storia della follia nell'età classica (1961) e Nascita della clinica (1963).
“La follia è il linguaggio escluso – quello che contro il codice della lingua pronuncia parole senza significato (gli “insensati”, gli “imbecilli”, i “dementi”), o quello che pronuncia parole sacralizzate (i “violenti”, i “furiosi”), o ancora quello che fa passare significati interdetti (i “libertini”, i “testardi”).
La modificazione non si produsse realmente se non con Freud, quando l’esperienza della follia si è spostata verso l’ultima forma di interdizione del linguaggio. Ha cessato allora di essere errore di linguaggio, bestemmia proferita, o significato intollerabile (e in questo senso la psicanalisi è veramente la grande rimozione delle interdizioni, come diceva lo stesso Freud); è apparsa come una parola che si avvolge su se stessa, dicendo, al di sotto di ciò che dice, altre cose delle quali è al tempo stesso il solo codice possibile: linguaggio esoterico, se si vuole, poiché trattiene la sua lingua all’interno di una parola che alla fin fine non dice altre cose che questa implicazione.
Occorre dunque prendere l’opera di Freud per quel che è; essa non scopre il fatto che la follia è presa in una rete di significati comuni con il linguaggio di tutti i giorni, autorizzando così a parlarne nella piattezza quotidiana del vocabolario psicologico. Essa disloca l’esperienza europea della follia per situarla in quella regione pericolosa, trasgressiva sempre (dunque ancora interdetta, ma in una modalità particolare) che è quella dei linguaggi che si implicano essi stessi, enunciando cioè nel loro enunciato la lingua nella quale lo enunciano. Freud non ha scoperto l’identità perduta di un senso; ha delimitato la figura irrompente di un significante che non è assolutamente come gli altri. La qual cosa avrebbe dovuto essere sufficiente a proteggere la sua opera da tutte le interpretazioni psicologizzanti con cui questi cinquant’anni l’hanno ricoperta nel nome (derisorio) delle “scienze umane” e della loro unità asessuata.”

In questa lettura, tratta da”Storia della follia nell’età classica”, Michel Foucault si occupa di alcune caratteristiche della storia europea della follia, soffermandosi in particolare sull’apporto dato da Freud al problema.


E’ importante capire, di tutto questo discorso trattato, come la follia non allontana l'individuo da se stesso ma lo rende partecipe di una realtà che sta al di fuori delle regole e dei canoni del vivere civile; è una realtà che si nasconde nel profondo dell'anima, è l'essenza dello spirito.
Valentina Iannuzzi.

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