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giovedì 28 maggio 2009

Parola e potere

Introduzione

Nel gioco del backgammon vi sono due giocatori, due lati di gioco e due colori, il bianco e il nero, la luce e l'oscurità, ciascun giocatore, secondo il lancio di due dadi, deve cercare per primo di rimuovere tutte le proprie pedine dalla tavola, cercando nel contempo di bloccare l'avversario e di evitare le sue azioni di disturbo.
Parola e potere si scontrano da molto tempo ormai, inizialmente si tengono a debita distanza, l'una opposta all'altro, ma inevitabilmente devono giocare la loro partita sulla stessa tavola, così che risultano essere le facce della stessa medaglia, ma cercano comunque di prevalere sull'altro tentando di bloccare o disturbare l'avversario. La loro è una partita infinita che va avanti da molto tempo ormai, da prima addirittura, dell'invenzione dello stesso gioco ed è tanto, troppo, se consideriamo che il backgammon è il gioco più vecchio al mondo, ma forse non può esistere l'uno senza l'altro, se non avessimo il bianco e il nero non esisterebbe nessun backgammon.

Il potere della parola

Il legame tra parola e potere è evidente così che siamo portati a constatare “il potere della parola”. Pensiamo ad esempio agli enunciati performativi, ovvero quegli enunciati con cui si compie un'azione, come ad esempio: “Battezzo questa nave Elizabeth”, “Mi scuso”, “Io prometto”. Questi enunciati performativi non sono né veri né falsi, ma rendono chiaro ciò che facciamo.
Quando si dice: “Io giuro” oppure “Io prometto” l'Ego è vincolato, non per il verbo, ma a causa del suo indicatore “Io” che lo rende un impegno. In questo, come in tantissimi altri casi, il parlante è un “ego” che dice “ego”, in questo troviamo il fondamento della soggettività che si determina attraverso lo status linguistico della persona.
Dunque il potere della parola è questo, la parola ci determina, definisce l'intera umanità perché è nel linguaggio e mediante il linguaggio che l'uomo si costituisce come soggetto.

Diceva Benveniste: “Se non vi fosse il linguaggio non si potrebbe parlare di uomini.”

Parola del potere

Ma riprendiamo adesso l'analogia col backgammon, ne “L'ordine del discorso” Faucault dice che il discorso non è solo manifestazione o negazione di un desiderio, ma elemento di lotta nel gioco di forze contrapposte, ovvero nelle dinamiche del potere.
Il discorso, infatti per l’Autore, ha una sua materiale realtà e possiede poteri e pericoli che non si possono cogliere istintivamente. Foucault analizza i meccanismi e le procedure di controllo, selezione, organizzazione e distribuzione della produzione del discorso che depotenziano la materialità del discorso.
Tabù, rituali, diritto di parlare o meno di qualcosa, esclusività di esporre un argomento, sono tipi di interdetto, ovvero la prima procedura di esclusione del discorso. Non si ha il diritto di parlare di tutto, di parlare di tutto in qualsiasi circostanza, chiunque non può parlare di qualunque cosa come ad esempio le regioni della sessualità e della politica. La parola è ciò per cui, attraverso cui, si lotta in questo gioco, lo scopo della partita, il potere di cui si cerca di impadronirsi.
Seconda procedura d’esclusione, socialmente condivisa, è la partizione e/o rigetto della follia. Per secoli in Europa la parola del folle o non era intesa, oppure, se lo era, veniva ascoltata come una parola di verità’ in quanto considerata la manifestazione della sua follia, il luogo in cui si compiva la partizione tra la sensatezza e l’insensatezza. Anche oggi, per Foucault, esistono meccanismi di partizione, che però sono azionati da nuove istituzioni, con nuovi effetti. Il folle lo si ascolta e decifra tramite una rete di psicologi, psicoanalisti, medici che l'autore definisce "Armatura del sapere".
La terza procedura è quella del vero contro il falso,concetti contingenti alla storia, in continuo movimento, sorretti da istituzioni che usano anche la costrizione per imporre una verità accettabile. Nella volontà di verità degli uomini nel corso della storia sta la partizione del vero e del falso, per esempio nella Grecia del VI secolo, il discorso era vero se era pronunciato dalla autorità legittimata secondo una ritualizzazione canonica, dunque a seconda del potere sociale che possedeva; un secolo dopo il discorso era vero in base a quel che effettivamente diceva. E’ la volontà di sapere che cambia, e che pone l’osservatore da una prospettiva che deve soddisfare dei canoni di veridicità. Ciò che conta, dunque, è come la società valorizza, distribuisce e attribuisce il sapere e la verità. La volontà di verità, istituzionalmente sanzionata, preme sui discorsi, perché parola del potere.


La parola è potere

Non perdiamo di vista però chi sono i “veri” due giocatori, perché a giocare la partita non sono verità e finzione, ma sempre parola e potere, perché se necessario al loro scopo, la parola ha anche il potere di modificare la verità.
Nel corso della guerra al terrorismo, la tortura è stata pubblicamente ammessa e difesa nell'ambito della più grande democrazia occidentale, gli Stati Uniti. E non solo da qualche opinionista, ma dal vicepresidente Dick Cheney in persona, il che ha prodotto non la semplice fine dell'ipocrisia in merito alla tortura, ma un cambiamento della verità stessa della tortura.
Zizek diceva: “L'atto di enunciare pubblicamente qualcosa non è mai neutro, trasforma il contenuto stesso dell'enunciazione.”
Il fatto di dire ciò che tutti sapevano, di dire come stanno le cose a proposito della tortura, ha prodotto una trasformazione della cosa stessa. L'enunciazione ha trasformato l'enunciato, l'atto di dire la verità sulla tortura ha trasformato la verità della tortura, cosi che la tortura non è stata solo ammessa come possibilità in certe circostanze, ma elevata a principio universale. In certi contesti, dopo l'enunciazione di Dick Cheaney, non è solo possibile, ma è eticamente doveroso torturare.
Ed ecco che Ralph Emerson era nel giusto quando diceva: “La parola è potere: parla per persuadere, per convertire, o per costringere.”

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